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Giovanni, figlio di Elisabetta e Zaccaria. Un albero genealogico smunto e rinsecchito il suo, anticipo e specchio dell’arsura nella quale predicherà: una storia di ormoni secchi, di uteri riarsi e di profezie aguzze. 
Al vecchio padre Zaccaria un giorno gli venne sequestrata la voce: «Sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole» (Le 1,20).Battista
Pagò salata quell’incredulità mal digerita dal Cielo. Ciò che il Cielo confiscò al padre, anni dopo lo accrediterà al figlio appena dopo: sarà doppiamente voce. Così tanta voce addosso da ombrarne persino il nome. Non più Giovanni bensì Voce: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore» (Gv 1,23). Così voce da diventare la voce per eccellenza. Il Battista di Zaccaria: la corda vocale prestata al figlio nazareno di Giuseppe carpentiere. Al figlio dell’Altissimo. 
Due amici e una capanna: «Allarga lo spazio della tua tenda» (Is 54,2). Estasi e incanto, rapimento e fuga, chiaroscuro e luce. Ognuno in disparte, nel chiuso del suo atelier: lui nel deserto, l’amico nella bottega di Nazaret. 
Ognuno per i fatti suoi, ognuno a lavorare sui fatti dell’altro. Tutto iniziò con un incrocio di sfuggita: «Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Quel giorno furono due donne gravide e sorprese a spartirsi il gaudio: nessuno s’accorse che dentro di loro due nascituri s’erano stretti lo sguardo. S’erano dati la mano: alla svelta, come di chi ha le idee chiare. Si erano programmati il viaggio, precedenze comprese: “Prima tu, poi io”. Sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole e all’ombra della maternità. 
Dopo d’allora, ognuno per la sua strada. Non, però, ognuno per i fatti propri: l’abilità dei proverbi con loro si tramuta in calcoli rovinosi. Arrischiati.

Austero come pochi, Giovanni trascorse i suoi giorni ai bordi dell’insopportabile. Si cibò per anni di locuste e miele selvatico: vinse la nudità con una cintura di pelle ai fianchi, con pelle di cammello legata addosso e un paio di sandali in basso. Calciò a destra e a manca, sferragliò di sopra e di sotto, tirò in ballo le razze dei serpenti e i covi delle vipere: in un incontro di scherma è importante sentire la lama. È ciò che fa di un cavallo un purosangue e Giovanni è un purosangue: stirpe pura, quella di Dio. Casata che trasborda: Erode, e chi per lui, si scotterà ad arginarla. Lui e tanti altri dopo di lui: il pelo si perde, il vizio no.
Si accresce.

Sulla riva. Lui avanza: franco e silente. Sprovveduto, verrebbe da dire: se non fosse che lui è l’altro, il grande annunciato in quell’annunciazione che da Nazaret si propagò per il cosmo intero. Una moltiplicazione di annunciazioni: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo» (Gv 1,26-27). Gente che va, gente che viene: un trambusto di peccati e di remissioni, di sciacquio e di risciacqui, di battesimi e di rinascite.
Volti frastornati e frastagliati: il furfante e l’aizzatore, il funambolo e il crumiro, lo strozzino e la spavalda. L’omicida, il lussurioso e l’avido di denaro sporco. Questo e quell’altro, il vicino e il lontano, l’ossequioso e il dissacratorio, il reputato dal volgo e il contabile. 
Tutti a farsi rilavare dal predicatore, a sentirsi rinfacciare d’essere dei “disgraziati” da quell’uomo bruciato dal sole, speranza ultima di un popolo disperato. 

Tutti dal Battista, nessuno escluso. Pure Dio: a spartire la miseria, ad attaccarsi l’odore delle pecore e dei suoi pastori, ad arrostirsi al brio delle parole aguzze del parente Battista. Che, giusto il tempo d’affinare la vista e di scoprirne la fisionomia, si sposta, s’abbassa, si cala nell’acqua: «Il mondo intero si sposta quando incontra un uomo che sa dove andare» (A. de Saint-Exupéry). C’è un cambio di guardia ormai imminente, quel battesimo va impedito per ragioni di cuore e di mente: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Reggere simile domanda per più di due secondi è esporsi al rischio folle della fede. E bruciacchiarsi alle illogiche segretezze del Mistero.
La dolcezza e la severità, l’azzurro e il lampo, l’irsuto e il maestoso.
Il selvaggio e l’angelo faccia a faccia: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,14-16). Un Dio capovolto: una mezza incomprensione tra cugini di parentela.
Come può il puro sfilare nel mezzo degli impuri, la bellezza spartire l’acqua con l’immondo, il gusto lambire il disgusto? A posteriori, più che incomprensione restò la più bella tra le manifestazioni d’intenti: il predicatore del Mar Morto fu ambasciatore della salvezza che esordirà sul Mar di Tiberiade. Quell’inginocchiarsi di Cristo in fronte a lui rimarrà il più animoso tra i gesti amicali. Tra le concessioni accordate dal divino: sulle sponde di mari, scenario d’amori impossibili.

L’intento fu pari al risultato, se è vero ciò che tramanda la parola sacra. Che molti, di lì a poco, lo confonderanno col Messia delle genti, scomodandosi sin dalla città santa per chiedere lumi e tornarsene con più nuvole: «Io non sono il Cristo [...]. Sono voce di uno» (Gv 1,20.23). Voce stramba la sua, di quelle che nulla hanno da spartire con le corde vocali. Voce che sgorga dagli occhi, un miscuglio di beatitudine e di raucedine: «Io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,34). Impossibile zittire quell’apparizione.
Pensare che quando nacque a molti parve che avesse sbagliato i tempi d’uscita: troppo tardi per gareggiare con i profeti. Troppo presto per farlo con i discepoli. 
Fra il troppo - presto o tardi - vinse il tempo di Dio: l’uomo giusto, né profeta né discepolo. Fu precursore, un ruolo ideato apposta per l’occasione. Cursore è colui che indica una posizione: nel suo etimo (cursor) giace l’idea di velocità e destrezza, d’agguati. Precorrere il cursore è allenare alla corsa, addestrare i piedi agli agguati, svegliare la muscolatura per non perdere l’appuntamento. Precorrere è insegnare a correre: «Raggiungerai il Paradiso quando avrai raggiunto la velocità perfetta. Il che non significa mille miglia all’ora. Perché qualsiasi numero è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. Velocità perfetta vuole dire solo esserci, esser là» (R. Bach).
Insegnare ad esserci: mica bazzecola.
Allenato al deserto. Nel deserto. Allenarsi ad amare al tempo del deserto: «La spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque, e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete» (Os 2,5). La promessa è un attrezzo per giardinieri, perciò «io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 3,4). Il deserto come spazio e tempo: delperdersi per ritrovarsi, del denudarsi per rivestirsi, dell’assenza come forma di presenza ancor più decisa. Dell’umano torchiato. Il Battista s’è cotto la pelle al chiarore del deserto. Ha l’anima così ustionata da esser divenuto l’anima ardente dal desiderio del Regno. Dal deserto la sua vita riemerse come un fragore di voce: tuoni, frastuoni, rimbombi e guizzi. Intemperie e grandinate. Alcuni le digerirono malvolentieri: farisei, sadducei e uomini dotti. Altri, come Erode, le ressero a malapena e con non indifferente fastidio. Altri ancora s’aggrapparono a quelle parole irte di punte e d’incalzi: dettero loro credito e si trovarono gettati nell’altrove della promessa mantenuta. Il precursore non fu Dio: per qualche attimo temettero tutti d’avere in fronte Dio. Tutti, eccetto lui: l’impaziente che mai si gloriò d’averli attirati tutti fin da lui. Seppe arrestarsi lì, a un passo: nel punto esatto per il quale era nato. Fedele alla più maestosa delle intuizioni: «Non è la voce che comanda la storia: sono le orecchie» (I. Calvino). Tutta la vita così: un miscuglio di suoni e di occhi.
S’arrestò e li arrestò nella loro velocità: «Io non sono il Cristo» (Gv 1,20). Rimasero col dubbio cucito addosso. Tutto rimase sospeso sulla gracilità di quella voce, come a Nazaret: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Le 1,34). Sospeso, appeso, come un peso: in agguato.
Non era lui: punto. Confidenza di poeta: «A Nazaret, intanto, uno sconosciuto operaio stava per allacciarsi i calzari colle sue mani per andare al deserto dove rintronava la voce che per tre volte aveva risposto di no» (G. Papini). 
Il precursore e il cursore, il già e il non ancora: la cerniera e l’aggancio. Sempre sull’attenti stava. Statuario anche il giorno dopo, come il giorno prima: d’altronde lui è il giorno prima che avvisa del giorno dopo. Sempre col fiuto del cacciatore.
Dell’arrivo dell’amico la sua percezione è un quasi presagio: il tempo è maturo, il fico sta per staccarsi, la mammella della vacca è gonfia. La bolla è piena, anche l’ampolla. Ancora un attimo e tutto potrà ancora accadere. Accadrà.
L’amico nazareno è un Dio-chioccia e un Dio-aquila. Sarà dagli animali del bosco, però, che andrà a scuola d’intrigo: come loro, s’avvierà a muoversi dopo un’ora che si sta fermi ad aspettarlo. Più che di bestemmia tutto ciò sa di buono.
Chi non saprà reggere quegli attimi, consumerà le unghie a forza d’arrabattarsi. Il Battista regge, è un reggimento di giorni schierati in battaglia.
Eccolo: «Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli» (Gv 1,39). Là: la localizzazione esatta, all’incrocio, nel punto fissato. Ancora una volta lui con loro, i suoi discepoli. Tra lui e loro, l’altro: sempre più vicino, sempre più silente, sempre più in stato d’assedio. Tocca al Battista l’arduo compito, quello che dai tempi di Mose stordisce le menti e ingobbisce per troppa attesa: agganciare lui a loro. Sarà questione di attimi e di vista: un attimo prima o un attimo dopo non sarà il medesimo. L’agguato divino è anche quello di Lucifero: è solo uno l’umano in gioco. Da adocchiare e accerchiare per portarselo poi a casa.
Di voce il Battista ne ha tanta. Voce ma anche occhio: «Fissando lo sguardo su Gesù che passava» (Gv 1,36). Mentre ammaestra, sta concentrato: ha se stesso in suo potere. La sua profezia è la festa dei sensi, il raduno dei sensi, la collaborazione dei sensi: occhio, orecchie e dita. Anche gusto e memoria. All’ombra del Battista, gli occhi inebetiti di chi l’adora non s’accorgono di nulla: tutto cuore e tutto sentimento. Potrebbe tacerlo quel passaggio, lasciar correre e scorrere quella presenza, bearsi di quegli applausi che lo scambiano per Cristo. Tutto è nelle mani del Battista, com’era nelle mani di una donna nazarena agli inizi: certi giorni il cielo potente si confina nella terra impotente. La potenza nell’impotenza, il tutto nel frammento.
L’amore s’affida a uno sguardo: s’affina in uno sguardo cocciuto e feriale.Tutto giace nel frammezzo. La salvezza è appesa alla vista.battista_battesimo
L’occhio non guarda, vede. L’occhio osserva e interpreta. L’occhio legge quella chanson de geste perigliosa e cruenta che è la salvezza. L’occhio mette in azione la mente che elabora, la bocca che comunica, il dito che esegue: «Ecco (guarda) l’Agnello di Dio» (Gv 1,36). Si voltano di scatto. C’è fiducia cieca in quella voce divenuta sguardo e poi dito: orecchie, vista e tatto. E poi tanti sono stati gli allenamenti all’attesa, all’esserci: quando il treno transita, quando lo sposo giunge, quando Cristo passa. Fu l’unico merito del quale un giorno potranno vantarsi quegli uomini: l’aver calcolato Dio nei loro percorsi. Mica una quisquilia per gente avvezza alla pesca e che, dando del Stalle burrasche, s’arrogava forse il potere di serbare in pugno il loro stesso destino.

Pescatori che in un battibaleno si denudarono nei loro intenti: cercare il meglio per loro stessi e portarselo a casa. Quel di più - che sovente è un di meno in grandezza- capace di rimettere in sesto una vita di stenti e di defezioni.
Scattanti: «Sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (Gv 1,37). Danno ascolto al precursore, danno piedi al cursore: l’ossimoro che solo il cielo poteva rendere logico.
Uomini che si mostrarono per quello che erano: gente capace d’abbandonare la certezza del Battista per l’incertezza di quello sconosciuto.
Strapazzati e storditi dalle semplici parole di chi ne annunciò il passaggio. Come ieri, come oggi, come domani: «Se volete degli scultori, concedeteci la fede e delle cattedrali da costruire. Allora vedrete quanti scultori dormivano in mezzo ai popoli» (A. de Saint-Exupéry). 
L’occasione, senza un’inclinazione, è nulla. Tempo perduto.
D’ora in poi buonanotte al Battista. La squadra di pulizie ingaggiata da Erode a Macheronte sta già predisponendo una cella nella gattabuia: ci sono persone chepagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Erano anni che Erode sognava d’arrestarlo: quell’accusa di lussuria che gli aveva sbattuto addosso non l’aveva ancora digerita. Temette solo la rivolta del popolo quella coda di paglia: tanto fumo e poco arrosto. D’ora in poi ogni scusa sarà buona.
Gli basterà un balletto sinuoso e carnale per concedere ciò che mai prima d’allora ebbe il coraggio di promettere ad alcuno: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno» (Me 6,23). Promesso alla figlia danzante di Erodiade. Consigliata, la danzatrice chiese l’ovvio: «La testa di Giovanni il Battista» (Me 6,24). Anche Pilato avrà un giorno l’infausta idea di consigliarsi con la folla, arrendendosi al loro volere: non per questo fu meno reo d’ignavia e d’anguillismo. Erode e Pilato. Altri dopo.
Uno l’hanno instradato per Macheronte, l’Altro in direzione del Golgota. Ciò che non si riuscì ad arrestare fu quel dito che era anche una voce, un dito parlante: «Ecco l’Agnello di Dio». Il testamento del precursore è un mantello raccolto: «Seguirono Gesù».
Quel mantello odora di profezia, non rimarrà a terra: quando il dito indica la luna, solo lo stolto si ferma a guardare il dito.
Furono uomini di peccati i discepoli: una delle poche certezze. Di peccati e di tanta vista, però: a star coi vedenti s’affina il guardare.
Certi occhi, poi, sono vasti come la Via Lattea. Restituiscono l’uomo all’eterno solamente con la maniera che hanno di guardare. • 
Don Marco Pozza


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