Riflessioni - #Corridoiumanitari
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Nel 2016, proprio in Italia, si è dato il via alla prima sperimentazione europea in tal senso: un progetto-pilota, denominato “Corridoi Umanitari”, frutto della collaborazione tra istituzioni pubbliche e privato sociale/società civile.
Alla base della sperimentazione esiste un apposito Protocollo di Intesa sottoscritto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie e il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione da un lato, e la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la tavola Valdese dall’altro, che ha previsto l’arrivo nell’arco di 24 mesi di 1.000 persone provenienti in massima parte dal Libano (principalmente profughi siriani) e, quindi, dal Marocco (migranti di origine sub-sahariana in fuga da conflitti, terrorismo, instabilità politica, povertà, carestie, siccità). Il ruolo principe delle organizzazioni che hanno promosso l’iniziativa non si esaurisce nella spinta progettuale e programmatica ma si concretizza anche sul versante economico, sostenendo in completa autonomia le attività previste grazie all’8xMille della Chiesa Valdese e altre raccolte fondi (donazioni private e 5xMille della Comunità di Sant’Egidio). L’iniziativa, quindi, non pesa in alcun modo sulle casse statali, né rispetto alla fase di selezione dei beneficiari e di organizzazione del loro arrivo in Italia, né in relazione alla loro accoglienza sul territorio.
La prima famiglia di profughi siriani è arrivata il 4 febbraio 2016 a Fiumicino e da allora oltre dieci gruppi di persone di varia nazionalità (siriani, palestinesi, iracheni, yemeniti…) sono stati accolti secondo modalità regolari e protette. Un dato particolarmente rilevante è quello relativo al tasso di riconoscimento della protezione internazionale: a giugno 2017 circa il 70% ha ottenuto lo status di rifugiato e nessuna domanda si è risolta con un diniego. Ancora, sono 68 i Comuni (in 17 Regioni) che hanno offerto ospitalità, grazie al largo coinvolgimento di comunità, parrocchie, associazioni e famiglie.
Il modello di accoglienza (e solidarietà) è statoampiamente riconosciuto come “buona pratica”, tanto a livello italiano che nell’intero contesto comunitario: un modello da replicare e da esportare, un contributo concreto ed efficace (oltre che coerente con la cornice normativa vigente) al contrasto delle migrazioni irregolari, del traffico di esseri umani e delle drammatiche traversate cui sono costretti i richiedenti asilo (dagli esiti troppo spesso ancor più drammatici), ovvero – parallelamente – uno strumento capace di contenere gli arrivi incontrollati sul territorio italiano (ed europeo), garantendo allo stesso tempo il rispetto del diritto alla protezione internazionale e la tutela della sicurezza e la dignità di chi è costretto a lasciare il proprio Paese a causa di conflitti, persecuzioni, carestie, catastrofi climatiche o instabilità e violenze diffuse.
Non solo, quindi, è stato rinnovato il Protocollo di Intesa tra le organizzazioni promotrici del progetto - pilota avviato nel 2016 e i ministeri degli Esteri e dell’Interno per la prosecuzione dell’esperienza a beneficio di ulteriori 1.000 persone, ma l’iniziativa si è allargata a nuovi soggetti che, sempre in piena collaborazione con le autorità statali, hanno promosso e attivato percorsi analoghi, in Italia come in altri Paesi europei. La Conferenza Episcopale Italiana, ancora in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, ha aperto un corridoio umanitario rivolto a 500 profughi originari del Corno d’Africa e, intanto, il modello italiano è stato ripreso prima dalla Francia – che a marzo 2017 ha avviato un programma per far giungere in sicurezza sul proprio territorio 500 persone in 18 mesi – e poi dal Belgio – disponibile ad accogliere 150 profughi siriani dal Libano e dalla Turchia. Cresce, inoltre, il numero dei Paesi che si mostrano interessati ad avviare esperienze simili e si allarga il dibattito circa l’opportunità di farne uno “strumento” di più ampio respiro, di carattere sistemico e strutturale. •
(da Voci di confine)
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