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In principio era l’olfatto: l’uomo, ancora quadrupede, seguiva gli odori e annusava le strade da percorrere. Poi l’uomo si mise in piedi e affinò il senso della vista: a occhio nudo, oggi gli riesce di vedere seimila stelle. C’è un terzo delle vie nervose del corpo umano che sono destinate all’occhio: il fascino dei colori, l’ebbrezza della luce e l’ansia dell’oscurità, la sinuosità dei lineamenti e le vertigini della profondità, il tumulto delle vette e il frangersi delle onde marine. Attraverso gli occhi passano le informazioni: s’impara a conoscere il mondo e s’apprende l’arte tutta evangelica di come muoversi nel mondo. La vista è il senso dei sensi: è il racconto della nostra storia. Attraverso la vista passa tutto, passa tantissimo: è il balcone di casa.
Affacciarsi è decidere come usarla: per fissare un puntino giallo e dire: “E il sole”, oppure per fissare il sole e dire: “E solo un puntino giallo”. La vita sembra essere questione di occhi. Vedere non è guardare: come il sentire non varrà nulla al cospetto dell’ascoltare. Lo attestano anche i proverbi che gli occhi non mentono: dicono quello che noi siamo veramente. Ci dicono quando siamo presenti a noi stessi, ma anche quando siamo assenti a noi stessi: vediamo ma non guardiamo. Ci confinano alla verità degli incontri: quando parlo a qualcuno, m’accorgo se lui sta mirando gli occhi altrove. E viceversa. La vista è attenzione: chiederla è sentire il bisogno che ci sia uno sguardo presente. Emmaus_cena
Attento e non distratto: «Non importa tanto quello che vediamo, importa piuttosto il modo con cui vediamo» (L. Seneca). Ci sono occhi biologicamente perfetti, eppure incapaci di fronteggiare le incursioni della bellezza: «Guarda, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19). L’accorgersi. Che è poi l’accogliersi nel proprio sguardo. Presenti a se stessi.
Nell’epoca delle webcam e degli sguardi filtrati dall’utilizzo dei video - dove vedere non è sempre guardare - ascoltarsi con gli occhi sembra un’insopportabile sgrammaticatura linguistica: con gli occhi si guarda, con le orecchie si ascolta. Com’è, dunque, possibile abbinare l’ascolto anche all’occhio senza passare per ridicoli? Sarà possibile solo nella più logica delle assurdità evangeliche, laddove l’impossibile degli uomini è il possibile di Dio. Ascoltarsi con gli occhi è, dunque, l’ascolto sommo, quello che i vangeli intonano al passare di Cristo. Quando si ha a che fare con l’Altissimo, ci sono sempre delle prospettive da ribaltare. Certune profondità non si possono solo vedere, ma vanno guardate. Scrutate, esaminate, esplorate. Contemplate: il verbo che trattiene in unità il vedere e l’ascoltare. Le prospettive di Dio: «Guarda: io faccio nuove tutte le cose» (Ap 4,32). Vedere è sapere quanti sono i colori, guardare è inventarsi pittori. Guardare e vedere sarà impratichirsi nel maneggiare l’umano alla scuola del Maestro.

Il Vangelo: una danza di sguardi
Vedere Dio con i propri occhi è un desiderio che alberga nel cuore della storia sin dai tempi del pastore Mosè. Un giorno non seppe trattenersi e diede voce a quel desiderio: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!». Ottenne un secco diniego, pur con una motivazione in calce: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere» (Es 33,18-20). Seppur di provenienza divina, quel no non impedì all’uomo di coltivare a oltranza una mal e mai celata nostalgia del suo sguardo: «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore» (Sal 25,15). Ciò che Mosè non poté, apparve di sorpresa a dei suoi discendenti per mestiere, anch’essi pastori: «Andiamo [...] vediamo questo avvenimento» (Lc 2,15).

Videro e si stupirono. Credettero.
Quando l’occhio tradisce insofferenza, l’appuntamento è con l’oculista. Le cause possono essere le più banali come le più gravi: miopia, cataratta, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia, degenerazione maculare. Ci sono interventi indolori che si eseguono con poche gocce d’anestetico; interventi chirurgici, invece, in anestesia topica che chiedono prima gli esami del sangue, l’elettrocardiogramma e la visita cardiologica.
È la legge della medicina. Appena cresciuto, anche Cristo prenderà la parola in merito. Chissà quale panorama - tracce di uomini o anfratti di ricordi poco cambia - custodiva nella memoria quando espose il suo trattato circa la cura per gli occhi, per lo sguardo: «La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso». Con quell’aggiunta finale per evitare fraintendimenti di sorta: «Ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso» (Mt 6,22-23). Che era il modo più gentile per lanciare l’invito a educare lo sguardo: a spolverare quella lampada che, pulita, permette al corpo intero d’illuminarsi e d’illuminare ciò che gli è attorno.
Il Vangelo è la celebrazione della vista: dopo aver veduto Dio, poggiare gli occhi sull’umano sarà una festa. Si mostrerà come una danza di sguardi.
Sguardi di compiacimento e di bellezza come quelli che hanno per protagonisti i gigli del campo, gli uccelli del cielo e la nobiltà dei due spiccioli della donna vedova. Sguardi di benedizione e di misericordia a favore degli scarti dell’umano, dei personaggi guastati dalle diavolerie del maligno, degli sperduti tra i rovi o tra le rovine della storia. Sguardi - che sono, poi, occhi che guardano - che quando si toccano diventano incroci: nuove prospettive, storie riaccreditate, narrazioni corrette. Sono gli sguardi di Dio. Che sono, poi, l’eterna risposta agli sguardi dell’uomo: di Pietro che «lo seguiva da lontano» (Lc 22,54) e che, guardato dall’amico, rimase imbarazzato al canto del gallo. Di Giuda, il cui sguardo deluso gli impose d’imboccare una strada a senso unico: non vide più alcun senso in quella storia che proprio allora, invece, acquistava senso. Stava per stordire i sensi. Di quel giovane che, pur ricco, non seppe arricchirsi.
pastoreaI Vangeli sono un dipinto della vista. In essa celano la scelta di chi va incontrando Dio: stare alla sua presenza o nascondersi alla sua presenza. Lasciarsi guardare per imparare a guardare: «La condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto» (Papa Francesco). Imparare a guardare per imparare a riconoscerlo quando viaggerà in borghese: «Quando mai ti abbiamo visto [...] e ti abbiamo/ non ti abbiamo [...]» (Mt 25,37). E strappare l’inaspettato dei Vangeli: chi dimora nello sguardo di Dio non avrà parole migliori per raccontare di Lui, ma terrà un’impareggiabile dolcezza nel narrare delle cose di quaggiù. Un giorno tutti vedranno una macchia nera su un panno bianco. Può capitare che qualcuno s’accorga di un panno bianco nel quale c’è una macchia nera.

Sguardi sconsolati. Sguardi consolati
A Emmaus c’era solo una macchia nera. Gli occhi erano disperati - «Apri i miei occhi, e contemplerò le meraviglie della tua legge» (Sal 119,18) - eppure biologicamente sani. La diagnosi fu pari a un gioco di bambini per l’uomo che, in vita, dai ciechi tirò fuori alcuni dei suoi profeti più fidati e affidabili: conversando tra loro lungo il cammino, mostrarono d’essersi arresi e arrestati a ricordi di morte e di trambusto della loro storia con Lui. La terapia fu altrettanto immediata: il pane spezzato divenne il collirio che ravvivò le pupille e «si aprirono i loro occhi» (Lc 24,31). A quel punto lui scomparve: altri occhi lo aspettavano.
Essi, però, non caddero più nell’angustia: ormai abitavano lo sguardo di Dio. A fidarsi dei Vangeli, sembra proprio che il luogo in cui si decide di posare lo sguardo faccia da discriminante tra la bellezza e la bruttezza. Tra lui e l’altro. Tra la disperazione e la speranza.
Dentro quella locanda il senso della vista permise loro di ritrovare il senso della loro storia. Alla vista di quel pane, imboccarono il senso inverso al loro cammino e fecero di nuovo ritorno a Gerusalemme.
Chissà se le loro parole riuscirono ad esprimere l’imponderabile, l’inafferrabile, l’imprevisto di quell’incontro: chi vede non sempre riuscirà a tradurre in parole l’esagerazione della visione occorsagli. Basterà lo sguardo, quel piglio intontito di chi ha avuto l’onere e l’onore di sequestrare l’assoluto per fare da garante a un Dio che - ascoltando il grido dei disperati e di chi è in astinenza da visione - decise di farsi carne. Di dare loro appuntamento in uno sguardo franco e senza convenevoli. Nell’inospitale ospitalità di una grotta. 
Di una locanda che quella sera divenne l’ambulatorio per quei due viandanti dagli occhi stanchi.
Da quella locanda usciranno uomini risanati, diversi: più passerà il tempo e più la vista riacquisterà in loro vigore. Solitamente più s’invecchia e più si perde la vista; nei Vangeli più s’invecchia in compagnia di Dio, più s’impara a vederci meglio. A vedersi meglio.
A vedersi - che è poi prima ancora un sentirsi - in compagnia di Dio. Non più soli quaggiù. •

Don Marco Pozza


Questo ed altri articoli sul numero di Settembre 2018
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