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Mangiare e bere 
Di tutti gli appellativi offerti al Cristo, uno spicca su tutti: per fantasia, per stizza, per gusto di verità. Lo dipinsero i farisei e gli scribi, suoi acerrimi avversari. Un giorno, quasi all’esaurimento delle cartucce rimaste in canna, presero spunto da alcuni bozzetti di vita del Rabbi per affibbiargli il più bello tra i soprannomi: «Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori» (Le 7,34). 
Una dichiarazione d’onestà, prima ancora che di umana rivalità: sovente diede appuntamento attorno a un tavolo per fare spazio al Cielo dentro le cose effimere della terra.
Per appartarsi con gli scartati e far assaporare loro qualche anticipo di ciò che sarà: «Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!» (Mt, 22,4). Gusto1
II seguito, poi, non dipenderà da lui: deciderà di lasciar pendere e dipendere il suo invito dall’accettazione degli invitati. Qualcuno andrà, altri si scuseranno - i campi da arare, i padri da seppellire, i buoi ai quali far fare il rodaggio -, altri ancora si troveranno di punto in bianco seduti a tavola.
Dai crocicchi ai salotti: per un Dio che fece della strada, battuta a piedi scalzi, il suo salotto.

La sua festa
Nacque lì - giusto nel mezzo di fuochi, stoviglie e vitelli ammazzati - quel gusto tutto evangelico di parlare del cielo celebrando la terra, di assaporare la compagnia spezzando il pane, di cantare la Pasqua seduti ad arrostire il pesce. Come agli inizi, come nei tempi della predicazione, come alla fine. gusto2
Sempre lo stesso stile: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
La novella da lui cantata - che fu vera e bella ma prima ancora buona da sentirsi raccontare - s’inzuppò così a lungo di gusti e di sapori, che un giorno il suo popolo proprio dal gusto lo giudicheranno fedele o infedele, affidabile o inaffidabile, gustoso o disgustoso: nessuna pretesa potranno vantare i suoi seguaci nei confronti altrui se prima non mostreranno un barlume di piacere nel mentre tessono la loro vita ordinaria nel mezzo del trambusto delle cose feriali.
Mangia e beve il maestro di Nazaret.
Chi s’arrestò alla superficie, lo dichiarò mangione e beone. A chi sfondò la crosta di quel mangiare e bere, s’annunciò come il più intimo degli invitati immaginabili: mangiare è incontrarsi, bere è coinvolgersi, mangiare e bere è invitare tutto il corpo attorno a un tavolo.
Cristo, Maestro del gusto, seduto a capotavola. Ci sono cose che si possono dire solo mentre si mangia: mangiare non è solo fame. E invitare occhi, naso, orecchie e bocca a spartirsi il gusto di quella Presenza. Di quel sogno così inaudito da mettere in piedi una festa per assaporarlo: che nessuna casa sia senza la festa del cuore.gusto3
Nei Vangeli non basta mangiare: il corpo ha bisogno di sorriso. Cristo lo sa: tant’è che, preferendo alla sicurezza del tempio e della sinagoga il rischio delle case e delle mense popolari, mise a repentaglio la sua vita perché il cibo non fosse fast-food ma rimanesse questione di dignità, di vicinanza, d’intimità. Al fuoco della sua presenza il cibo si cuoce lentamente: con verità, con bellezza, conbontà. Con gusto: il gusto di una presenza che sazia solo alla sua vista. Il gusto di Dio è la festa dei sensi: un anticipo di ciò che sarà.
Chi l’ha gustato, ha scoperto che l’uomo felice è colui che possiede ciò che gli piace, non ciò nel quale gli altri trovano il piacere. Che l’amicizia fa amare la vita ma l’amore la sorpassa, l’oltrepassa, viaggia oltre: dà gusto anche alla morte.
Di costoro rimasero solo parole di poesia: «E meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa» (Sai 84,11).
Chi non capì al volo, non per questo automaticamente scelse d’arrendersi. Di lei, donna di buon gusto da diventare Madonna di tutti i gusti, ci fecero una confidenza da batticuore: all’inizio non capì bene nemmeno lei. Mica s’arrese, però; scelse d’abitare il gusto del Mistero: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Le 2,51).
Il gusto è un vino che si abbina bene con i verbi impastati al tempo imperfetto, il tempo dei tempi lunghi: delle attese, delle titubanze, delle assenze. 
Custodiva: la gelosia degli amanti. 
Meditava: il segreto dei pittori. 
Gustava: il verbo di chi ha Dio dentro sé.gusto4
Un giorno mancherà il vino: «Non hanno vino» (Gv 2,3).
E l’occhio della madre: s’accorge che a quella festa manca il brio, la gaiezza, il gusto del far festa. Il vino. S’accorge e glielo dice a quel figlio che sembra distratto: senza gusto ogni festa diventa un dramma.
Dall’acqua lui trarrà il vino più buono, parola di intenditori: avere gusto è saper un giorno dare gusto anche a ciò che gusto non ha. Fino a far diventare gustosa addirittura l’assenza di lui. 
Nelle vigilie c’è lei: se manca il vino, s’accorge. Nelle feste c’è lui: il disgusto dell’acqua in un battibaleno può diventare il gusto del vino. Sotto la croce ci sarà vigilia e festa: sangue, acqua e pane immolato.
Il gusto dell’amore.

Il Dio del buon gusto
Fu il Dio del buon gusto. Nacque qui il rompicapo da mal di testa per chi un giorno s’avventurerà nella sua sequela: essere uomini di buon gusto.
Il disgusto, quando si mostrerà, varrà come scredito di un’appartenenza.
La possibilità del vomito anche per Dio, l’uomo del buon gusto: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16). gusto5.1
Il freddo è un gusto, il caldo pure: la tiepidezza è disgusto. Il corpo in assenza di gusto si rifiuta di funzionare: si blocca. Per sbloccarsi, vomita tutto. E riparte: Dio è un corpo che funziona.
Il gusto di oggi è influenzato dal gusto di ieri: il latte che nei primi tre mesi abbiamo succhiato dalle mammelle materne determina la predilezione per certi alimenti che da grandi si sceglierà come preferiti. O, al contrario, si rifiuterà come sgraditi: certi gusti saranno disgusti. Più odori che profumi.
Il latte della mamma, poi, cambia gusto a seconda di quello che la mamma mangia: il bambino le sarà così grato per quei primi pasti che un giorno s’accorgerà di ricercare quel gusto in ciò che, da solo, sceglierà come cibo. E storia, di lassù come di quaggiù: il destino di ciascuno dipenderà dalle mammelle che l’hanno allattato. gusto5.2
Dai maestri che avrà scelto.
Tutta la Scrittura - oltre che di pesci e di pani - parla di latte.
Di latte e di miele: c’è addirittura una terra dove scorreranno fiumi di latte e di miele.
Una terra gustosa da abitare. Per troppo gusto - per aver reso quella terra un sogno - un giorno lui lo inchioderanno a testa in su. Qualche suo seguace lo seguirà poco dopo: a testa in giù. Poi graticole fumanti, ferri roventi, grinfie di leoni e fuochi disagevoli.
Chi ha gusto rompe: ricorderà sempre che le cose senza gusto vanno aborrite, accantonate, divorziate. Parola di Pietro: «Sbarazzandovi di ogni cattiveria [...] desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono» (lPt 2,1-3).gusto5.3
Avere gusto è sinonimo d’avere stile.
Essere gustosi è favorire lo sbocciare delle confidenze: quelle più appetitose. Anche Dio ha gusto: quando c’è è dolce, quando manca è amaro, quando insegna è aspro, quando corregge è salato, quando promette è saporito: «Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele» (Ez 3,3). 
Un Dio gustoso da mangiare: nessuno s’era spinto fin qui.
L’avrebbero ritenuto folle.
L’hanno ritenuto folle quand’è apparso. •
Don Marco Pozza



Questo ed altri articoli sul numero di Ottobre 2018 (presente in archivio)
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