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In Diretta dal Movimento - Viaggio missionario in Perù e Brasile

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brasi_1Partite da Roma il 26 gennaio 2019, Antonella ed io, siamo arrivate a Lima (Perù) la sera dello stesso giorno ed accompagnate da Padre Edison abbiamo raggiunto il gruppo riunito in Ritiro Spirituale presso la Casa provinciale dei Comboniani, un luogo veramente accogliente e tranquillo. Con loro e con P. Lino si è parlato di un futuro impegno in Perù, insieme alla Caritas diocesana, per persone povere e sole. Naturalmente non è mancato l’appuntamento al brasi_2Santuario Seῆor de los Milagros dove P. Edison e P. Lino hanno celebrato la S. Messa in ringraziamento al Signore di questi giorni vissuti insieme affidando il Movimento alla protezione del Signore. In questa occasione abbiamo avuto anche la gioia di incontrare Margherita Tapia, tanoista di vecchia data che saluta tutti con affetto e ricordando con nostalgia i momenti belli vissuti al Tra Noi. Giovedì 31 siamo partite da Lima per il brasi_3Brasile, dopo un lungo viaggio, pernottando una notte nell’Hotel dell’aeroporto di S. Paolo, il 1 febbraio alle ore 14,30 siamo arrivate ad Araguaina. All’aeroporto ci aspettavano Eliane, Justina e Lourdinha.
Nei giorni che ci siamo fermate presso la Casa Tra Noi don Carlo Sterpi abbiamo condiviso con P. Enemesio, Vescovo orionino, la preoccupazione per la sua salute, infatti il lunedì sarebbe stato operato per un tumore al pancreas, ma il sabato precedente abbiamo avuto la gioia di averlo alla Casa Tra Noi per la Celebrazione Eucaristica. In questi giorni ci sono stati incontri con ospiti e volontari, con sacerdoti orionini e singole persone.
brasi_4La Casa Tra Noi funziona sempre a pieno ritmo e tante sono le testimonianze di dolore e povertà che si vivono tra gli ospiti, ma la sofferenza vissuta con tanta dignità e serenità diventa testimonianza per tutti. Mentre eravamo presenti è deceduto un giovane seminarista di 24 anni ricoverato per un virus che non si è capito bene da dove provenisse e la mamma, ospite nella nostra casa, con serenità e dolore ha affidato questo figlio al Signore abbandonata alla Sua volontà.
Giovedì 7 febbraio partenza per Presidente Prudente con sosta a Cotia dove abbiamo visitato gli ospiti della “Chaccara”, persone senza fissa dimora, alcuni giovani in recupero da droga e alcol, un lavoro molto impegnativo portato avanti anche da volontari con tanto amore e responsabilità. Il giorno dopo si parte per Presidente brasi_5Prudente dove nonostante la tarda ora, erano le 22,30, all’arrivo con tanta allegria c’era tutto il “mondo ad attenderci” tanti i membri, alcuni funzionari e volontari: ci siamo sentite “importanti”!. Varie visite ad amici, incontri con ospiti e volontari hanno riempito le nostre giornate. Non è mancata una breve visita alla Casa Stella del mattino, dove abbiamo avuto modo di incontrare alcuni giovani usciti dalla droga o alcool ed ora impegnati in attività di volontariato; testimonianze forti di dolore, di abbandono e solitudine, ma anche di speranza verso un futuro di normalità e solidarietà. Un giovane, che chiamano “il poeta”, uscito da questa triste esperienza, scrive poesie di ringraziamento al Signore per avergli donato un’altra opportunità, una nuova vita che vuole spendere diventando una grande stella che con la sua luce illumina chi vive nelle tenebre della droga e dell’alcool. Quindi la Santa Messa del lunedì mattina celebrata dal Vescovo è ormai una tradizione che si attende con grande gioia.
Infine mercoledì 13 alle ore 14,30 si parte per Roma e si arriva a Fiumicino il 14 febbraio alle ore 7,30. Anche questo viaggio faticoso ma ricco di tante esperienze si è concluso, ringraziamo anzitutto il Signore per quanto sta operando, ringraziamo tutti per averci sostenuto con la preghiera. •
Dina


BONUS:
SEGNI di SPERANZA

Un giovane riscattato dalla droga
nella Casa Famiglia Tra Noi
“Stella del Mattino” ha voluto,
con questi versi, narrare la sua esperienza.
Il Signore mi ha riscattato
mi ha teso la Sua mano
con il Suo amore mi ha abbracciato.
Ha abitato il mio cuore
ha trasformato il mio essere
mi ha indicato il Suo cammino.
È reale il suo vivere
è vero il Suo Amore
niente mi manca.
Il Signore è il mio pastore
io so che vivo nella Sua grazia
e nel Suo puro amore per me.
Meraviglie e pace
nella mia vita accadono
so che così mi sono alzato.
Gesù Cristo il mio vivere
la Sua parola è sacra
so che mi dà forza.
È stato così
che ho potuto vedere realizzarsi
i Suoi miracoli.
Il Poeta


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Il Racconto - La scimmia e il cammello!

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Quello era un giorno particolarmente importante.
scimmia_camellInfatti, dalla foresta era partito un invito rivolto ai delegati di ogni specie animale che avrebbero dovuto riunirsi in una assemblea durante la quale si sarebbe discusso di un argomento molto serio. Non mancò proprio nessuno. Il primo a prendere la parola fu il leone, indiscusso Re degli animali. Nel rispettoso silenzio generale egli disse: “Carissimi sudditi, ci siamo riuniti oggi allo scopo di stabilire una pace duratura tra noi, eliminando ogni diverbio e ogni invidia per riuscire così ad affrontare insieme gli eventuali pericoli provocati dall’uomo alla natura”. Il discorso continuò a lungo, sottolineato da applausi di assenso.
Erano dunque tutti d’accordo: era necessario unirsi per superare qualsiasi problema. Al termine dell’assemblea, ogni animale prese parte al grande pranzo organizzato per l’occasione. Ci fu cibo in abbondanza e bevande a volontà. Quando tutti furono sazi e soddisfatti qualcuno chiese alla scimmia, notoriamente allegra e vivace, di allietare la cerimonia con qualche spettacolo divertente. Questa, senza farsi pregare, salì sulla pedana e con agilità e simpatia diede inizio ad un numero spassosissimo ricco di salti acrobatici, capriole e danze. Estasiati gli spettatori applaudirono come non mai, divertiti dall’abilità di quell’insolito comico.
L’unico che rimase in silenzio fu il cammello che, geloso del successo ottenuto dalla scimmia, decise di esibirsianch’egli sul palco attirando l’attenzione su di sé. Questo buffo animale diede il via ad un balletto goffo e sgraziato. Egli non era affatto agile né divertente. 
Tra i fischi generali fu così costretto a ritirarsi nascondendosi in un angolo dove ripensò ai buoni propositi di cui si era discusso durante l’assemblea: certo, per restare tutti uniti ed amici egli doveva cominciare ad ingoiare un po’ della propria invidia. •


L’invidia è il peggiore dei difetti perché ci impedisce di ragionare e ci costringe a lanciarci in imprese di cui non siamo all’altezza. (da una favola di Esopo)


scimmia_camell2BONUS: Il Signore mi parlò - e chiarissimamente - attraverso una metafora. Dovevamo percorrere a piedi circa 600 chilometri per raggiungere il luogo in cui ha vissuto il nostro fondatore, Charles de Foucauld. In gruppo si partiva la mattina, senza parlare, con in tasca dei datteri, l’unico alimento della giornata; la sera si rizzava la tenda, si pregava insieme, si mangiava qualcosa e poi si dormiva.
Ci accompagnava una truppa di cammelli e ogni mattina capitava che un cammello, a turno, fuggisse. Ci avevano raccomandato di non rincorrerlo, di rimanere indifferenti, di considerarlo cioè come bisognoso di un po’ di libertà. Succedeva tutti i giorni che, passato mezzogiorno, il cammello tornasse spontaneamente; allora qualcuno si avvicinava dolcemente, senza gridare, senza alzare le mani, e cominciava a camminargli a fianco cantando sommessamente. Il giorno successivo il fuggitivo era il primo a offrire il dorso per caricarvi la tenda e le vettovaglie.
(Fratel Arturo Paoli)

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Gocce di Spiritualità - L'autunno di Maria

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di don Marco Pozza

L’impotenza di Lucifero:  “Ancora rode!” 

È l’impotenza a renderlo cane-infettivo di rabbia: scatenando il pandemonio nell’Eden, Satana s’accorse – proprio nell’attimo in cui si pensava vincitore – d’essersi infilato in una strada a vicolo-chiuso: “Fregato!” Gli bastò una Donna per intuire che vincere contro Maria non sarebbe stato gioco da dilettanti come con Adamo ed Eva. Nacque da stirpe umana la Madonna: figlia di Gioacchino e Anna. A differenza mia, però, seppur figlia di carni-umane, non Le fu toccato in sorte la strana faccenda del peccato-originale, il fastidioso sospettare su Dio.
autunno1Immacolata: coperta-d’assicurazione dal Cielo. Fu certo privilegiata, nessuno s’imbarazza ad ammetterlo.
Un privilegio ad-personam in vista di ciò che - libera dal sentire Dio nemico della felicità, il che fu la genialata di Satana - accetterà d’essere: serva di Dio, madre di Gesù, Donna per tutti. Il Papa non inventò nulla che il Vangelo già non contenesse. A Gabriele, arcangelo dell’annuncio, il Cielo raccomandò che La salutasse come nessun’altra donna era mai stata salutata prima: «Piena di grazia» (Lc 1,28).
Nel 1854 Pio IX sigillò tutto col cemento del dogma: «L’immacolata concezione di Maria». La conferma giunse dall’Alto: il 25 marzo 1858, in una Lourdes ancor anonima, la Madonna apparve a Bernardette dicendo di sè: «Io sono l’Immacolata Concezione». L’illuminismo pubblicizzava l’immacolata concezione dell’uomo: l’uomo nasce buono, a rovinarlo sono le strutture sociali.
Per salvarlo, rivoluzione! Organizziamo un paradiso-sulla-terra.
La Chiesa, a scanso di equivoci, decretò Immacolata solo Maria: rivoluzione sarà rivoltare il cuore a Dio, dopo che Satana l’ha voltato verso di lui. Fu l’unica a non sospettare mai di Dio. Per questo Satana s’imbufalisce: non gli riesce più di abbindolare tutti con le sue dolcissime ninne-nanne. La Donna lo disturba.
Vincerà Maria, Lucifero lo sa. L’ha visto coi suoi occhi: la Donna non cede.

Di Giovedì. Invitata alla Prima-Comunione di quei dodici uomini-bambini 

autunno2Il trabattare rumoroso dei complotti Maria l’aveva avvertito come nessun’altra tra le pie donne che  seguivano il Maestro. Era sabato, il giorno prima della gran festa.
Ospite a casa di Simone il Lebbroso, Gesù anticipò una pagina di storia: «Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura» (Mc 14,6). Nella risposta del Figlio a quel gesto di femmina, Maria capì quello che ogni madre capisce pur senza essere stato detto: «Ci siamo. Fai un buon viaggio, Figlio. Mio. Ti seguirò ovunque tu andrai». Nessuna madre dorme quando vuol dormire: il suo sonno è legato al sonno del figlio. Neanche a Maria fu concessa deroga a questa legge. Sino all’ultimo dipese da Colui dal quale decise di dipendere: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1,38).
La domenica il mondo le concesse una tregua, pur ridotta, alle angosce di madre. Da Betfage a Gerusalemme fu tutto un urrà: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Gv 12,13).
Palme agitate, rami d’ulivo alzati al vento, tuniche sotto gli zoccoli dell’umile cavalcatura. Anche la Madre vide la sagra del paese, o forse le sarà stato raccontato da amiche. Ciò che Maria capì fu che la città, come le persone, non è frequentabile nel momento del trionfo: la fortuna la rende volgare, la volgarità è anticipo di crudeltà.
Questo le fu chiaro al suo cuore di madre. Quando il Figlio, quella sera, rincasò a Betania – vi stette dalla sera della domenica al mercoledì – a Maria tornarono i conti: ciò che non poteva immaginare era quell’abisso di malvagità montante in città. Di un ultimo colloquio tra Madre e Figlio, il Vangelo sta muto.
Pare una verità-umana, a chi scrive, che il Figlio le abbia concesso un’ultima intimità: le chiese «permesso » per venire al mondo, le avrà chiesto un fiat per uscirsene dal mondo. Ciò che i Vangeli tacciono, senza riuscire a tacerlo, fu che il prezzo di quell’enormità lo pagarono in due: la Madre, il Figlio. Ancora una volta assieme, indivisibili.
Nel giovedì della cena nessuno annota traccia di Maria: tutti maschi, di sana e robusta costituzione, sdraiati sui divani a consumare il pasto.
Gli evangelisti, i maschi che hanno narrato gli eventi, scarabocchiano un particolare: «C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano. Lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 15,40-41). Se ci sono donne, pare cosa buffa non calcolare tra loro Maria. Il Beato Angelico, pittore a tinte forti, l’ha voluta presente: l’ha immortalata in ginocchio, alla tavola-imbandita della Prima Comunione di quegli uomini rozzi e divini che furono i primi dodici-amici del Figlio.
Pensarono bene, loro, d’invitarla alla festa della loro prima comunione. 

Di venerdì. Sul ghiacciaio di Gerusalemme. A scaldare il Figlio

autunno4Finita la Cena, rimasero undici cuori a Sua disposizione: Giuda, il suo cuore, l’aveva già affittato a Lucifero. Di trenta denari fu il bonifico versato. Rimasero in dodici, comunque: Maria supplì quel cuore mettendoci il suo. Fu per tutti l’invito del Cristo: «Alzatevi, andiamo via di qui» (Gv 14,31)

Anche per Maria: laddove gli evangelisti tacciono le orme di Maria – è discrezione, tema d’affetti e di cura – a sorreggerci è ciò che sappiamo delle madri nostre, abbinato a quella Madre di lassù. Le madri sono amore, attaccamento, dolcezza, premura, istinto, forza, fragilità, tempismo, sorriso. Lo fu anche Maria. Ecco che, a preludio di quel suo pellegrinaggio-inverticale nell’Orto degli Ulivi, uno sguardo a Lei non stona: «La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che fossi a letto» (M. Proust).
Rispettiamo i Vangeli, anche Maria: se non ci stette col corpo, ci stette tramite lo Spirito.
In visione, una sorta di rivelazione in-presa-diretta. Presenza soffertissima. Lo seguiva nei racconti degli amici tornati da Lei dopo la vigliacca vergogna: l’arresto, il via-vai della Pecora-muta, la partita di ping-pong al suono di schiaffi, sputi, insulti. Anche l’anima di Maria, al pari di quella di Gesù, pare assai facile pensarla triste: «La mia anima è triste fino alla morte» (Mc 14,34).
Delusa da loro, mica da Lui: se una madre è delusa del figlio, non è sua madre. Sempre appresso Gli stette: non sarebbe stata Lei – non avrebbe avuto titoli di merito così alti – se non avesse patito in cuor suo tutti gli strazi del Figlio: compatire è stare-dentro, compiangere è farlo da fuori. A Nazareth lo tenne per mano: dalla Galilea in poi l’accompagnò col cuore. Fin sul ghiacciaio dove l’uomo ricambiò l’Amore con mille grida scomposte, unite: «Crocifiggilo, crocifiggilo!» (Lc 13,42). 
Maria, raccolta, raccolse la sfida.
S’incamminò in-verticale: fece anche lei la sua via-crucis. Contava le gocce di sangue, vedeva i soldati, fissava le lance, i ladri. Trovò Lui, quarta stazione: «Gesù incontra Maria, sua Madre». Le donne a bordo-strada inneggiano, piangono, intonano gemiti. Il Cristo non le scansa, rivolge loro cortesia al futuro: «Non piangete su di me (...) Verranno giorni nei quali si dirà: «Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato»» (Lc 23,26) Forse non capirono, Maria capì: pregò più per i carnefici che per la Vittima. Capì tutto, a fondo.
autunno3Capì anche che solo Lei, un giorno, avrebbe aiutato a tradurre quella strana faccenda della misericordia: “Papà, perdonali: mica sanno quello che ci stanno facendo”. L’altra faccenda, la sequela: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16,24). La Madre non ha la croce sulle spalle: le spalle sono occupate a tenere in piedi la speranza.
L’unico spazio che ha libero è il cuore: la Croce la porta in cuoresuo.
È un palo che, trafiggendola, la sostiene: «Stabat Mater». Stabat (“Stava”): la Madre sotto, Lui sopra, inseparabili persino quassù.
Nel mezzo, tra loro, una corrente fortissima: «Gesù, vedendo la madre, disse: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26). Cristo sta redigendo il testamento, l’ultimo pensiero è per la Madre, gli amici: più nessuno lo potrà ritoccare. Erano circa le tre del pomeriggio: solo la Madre, pur trafitta, stette in piedi.
Solo Lucifero, farabutto, ancora non capì di aver sbagliato lavoro.

Di sabato. Tra lo stare e lo spiare s’annunciò Soccorritrice

autunno5Appeso, l’urgenza era di staccarlo: “Domattina è festa. Troppo schifo quei cadaveri” dissero i Giudei a Pilato. Trattarono Cristo con riguardo: siccome era morto, non gli spezzarono le gambe, gli squarciarono il costato. Fecero a pezzi Maria: l’insulto era portato al Figlio, il dolore fu della Madre. Prima della tomba, lo fecero tornare dov’era partito: lo rimisero in braccio a Lei, come a Betlemme. I Vangeli tacciono, l’ispirazione del Buonarrotti scolpì: «Le stava sulle ginocchia come una rosa rossa appassita» (F.Sheen). Con Lui in braccio, Le sembrò di rivedersi fanciulla alla fontana di Nazareth, gravida di stupore verso Ain-Karim, nella bottega di Giuseppe, mamma a Betlemme, destinataria dell’orrida profezia di Simeone. Vedova, poi anche discepola.
Ripensò a tutto col Figlio in braccio. “È la strada giusta: Gesù mi diceva che l’importante era rinascere di nuovo, Maria”. Glielo ricorda Nicodemo, il discepolo nottambulo che andò da suo Figlio per chiedergli quale strada prendere per non sbagliare più strada.
Sotto la Croce Maria mise in scena un corso di primo-soccorso per il Cristo-deposto. Soccorritrice è termine tecnico di emergenza, suo campo semantico è l’urgenza, segno-particolare l’immediatezza: tra l’esserci e il non-esserci c’è la differenza tra vita e morte.
Maria-soccorritrice: millenni dopo anche la teologia le tributerà l’onore d’averla riconosciuta madre proprio qui, esattamente come a Betlemme: «La maternità di Maria perdura senza soste dall’Annunciazione a sotto la croce. Per questo la beata Vergine è invocata con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice» (Lumen gentium,62). Quando lasciò il Figlio tra le braccia dei due amici, Maria s’accorse d’aver perduto tutto: «Alcuni perdono la madre; altri un figlio; altri una sposa; Maria perdette tutto quanto nel perdere Dio» (F. Sheen). Nella perdita del Tutto, serbò l’unica cosa che il Figlio le impedì di smarrire: che il seme, per fruttare, deve marcire sotto-terra. Mica s’accorse, l’imbecille di Satana, che seppellendoLo sotto-terra stava mettendo in-scena la parabola dell’agricolo che il Figlio s’inventò per parlare del Regno di lassù a pescatori di quaggiù: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Capirà pure lui.
Con Maria, sotto la Croce, sboccia un paese d’amicizie. Sono gentiluomini venuti a riscattare l’ignomia di altri-uomini: «Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia» (Lc 23,52). Un ultimo sguardo, forse. Di Maria: «Lasciate che me lo guardi l’ultima volta».
Conciato così, sarà l’ultima volta davvero: anche questo Maria crede. Ormai è notte: una pietra viene rotolata davanti alla tomba.
Lei esce dall’Orto: per vie deserte giunge ad una casa amica. Entrata, siede in ginocchio. Spia, dietro la tenda, il Figlio prigioniero di quell’orrida solitudine.
Ancora stabat, sveglia. 
Soccorritrice, ora pro nobis. •
 

Riflessione - La tenerezza non è “tenerume” ma virtù e ricerca esistenziale

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intervista di Benedetta Verrini a don Carlo Rocchetta

Tenerezza1La società di oggi si trova a un bivio.
O sceglie la strada del rispetto della persona o prevarrà una cultura di violenza e morte.
Della tenerezza, avverte don Carlo Rocchetta, teologo, fondatore della Casa della Tenerezza di Perugia, centro di spiritualità per la cura della famiglia (www.casadellatenerezza.it). Con decine di saggi e libri dedicati all’argomento (l’ultimo, ‘La virtù della tenerezza’, con contributi di diversi autori, è ora in uscita per Portiuncola), Rocchetta ha esplorato le radici e la forza di questa dimensione umana, che Papa Francesco definisce vera e propria ‘virtù’.

Cos’è la tenerezza e come la troviamo dentro di noi?

Tenerezza2Prima di tutto, chiariamo che non stiamo parlando, come si potrebbe pensare, di tenerezza come sdolcinato sentimentalismo, io lo chiamo ‘tenerume’.
No, niente di tutto questo: la tenerezza è fortezza dell’animo, uno sguardo e un comportamento di chi è affettivamente maturo e sceglie di essere così. Papa Francesco fa l’esempio di San Giuseppe: chi, più di lui, ha saputo esprimere tenerezza sponsale, tenerezza paterna, e nello stesso tempo incrollabile forza? La tenerezza è già dentro di noi, che siamo creature fatte a immagine di Dio, sorgente inesauribile di tenerezza. 
Papa Francesco è ritornato più volte, nel suo pontificato, sulla ‘rivoluzione della tenerezza’.
Il Santo Padre ci ricorda che la tenerezza è una ricerca esistenziale ed è incarnata nella vita, ci interpella e ci porta a comprendere la bellezza di sentirsi amati da Dio e di sentirci amare. Definendo la tenerezza una ‘virtù’ e non un semplice sentimento, ci invita a cercarla, a conquistarla nella nostra vita. Rileggiamo l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in particolare ai numeri 88 e 288, in cui la forza della tenerezza viene espressa come modo di essere e di amare. Rileggiamo Amoris Laetitia, al numero 28, paragrafo paradigmatico che riconduce, in tempi ‘di relazioni frenetiche e superficiali’, l’amore coniugale alla virtù della tenerezza.

Come si esprime, nel quotidiano di una famiglia?

Tenerezza3La tenerezza nasce dal cuore, passa sul volto, arriva fino alle mani: è pensiero, sguardo, gesto. È un sentire affettivo, un’attenzione alla persona, una carezza, un elogio, un ‘come stai’? Senza tutto questo, siamo dentro un deserto sterile.
Quante mogli soffrono di sentirsi invisibili! Quanti bambini hanno la sensazione di sentirsi domandare dai genitori soltanto ‘che voto hai preso’?

Quindici anni fa ha fondato la Casa della Tenerezza di Perugia, come proposta di vita per le famiglie e come punto di riferimento per le coppie in difficoltà. Ci racconta qualcosa di questa esperienza?

Tenerezza4È un cammino bellissimo, oggi esteso in molte altre regioni, dalla Sicilia alle Marche. Incontriamo più di 600 coppie ogni anno e accogliamo coniugi in difficoltà, fidanzati, single. 
Posso dire che più della metà delle coppie che viene a chiedere aiuto e che poi si predispone all’ascolto e a ri-innamorarsi, supera la crisi. Ricordo con gioia una coppia che veniva da lontano, e che dopo un anno è stata pronta a celebrare il rinnovo della promessa di matrimonio: si sono presentati all’altare vestiti di nuovo da sposi, e vederli così è stata una cosa molto commovente.

Qual è il simbolo della tenerezza, secondo lei?

Dostoevskij scriveva ‘la bellezza salverà il mondo’, per me è la tenerezza che salverà il mondo, e l’immagine incarnata della tenerezza è Gesù sulla croce, Gesù con quelle braccia aperte che abbraccia, che dona se stesso guardando il Padre, e perdonando l’umanità. L’abbraccio è il simbolo della tenerezza, è un gesto umano meraviglioso e in riferimento a Dio, in ebraico ritorna con la parola rachamim, il grembo materno che ci culla, nella pienezza del Suo amore. •

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