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Riflessioni - Una grande sfida

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puntodomandaL’attuale realtà socio-politica italiana è provocatoria specialmente per noi cristiani e ci sollecita ad una consapevolezza più “profetica” sul nostro essere.
Non si tratta di partecipare a questo o quel partito, ma piuttosto ad una presa di coscienza della necessità di assumere quella dimensione valoriale del bene comune che deve governare un popolo, migliorare una Nazione.
Essere promotori di una nuova energia - per noi imbevuta di Spirito Santo - che propone attraverso la cultura dell’incontro, del rispetto, del discernimento serio e quaIificato valori umani capaci di fondare nuove strutture socio-politiche e soprattutto orientamenti che salvaguardino la vita nelle sue diverse esigenze: sostentamento, salute fisica e psichica, lavoro, famiglia, casa, relazioni, riposo e svago.
Siamo chiamati ad assumerci la responsabilità del nostro credo, che non ci porta certo all’individualismo ed all’intimismo, ma piuttosto a gettarci nella mischia per condividere con altri la bellezza della costruzione della “città dell’uomo”.figure
Per fare questo dobbiamo recuperare in pieno, a nostro avviso, la funzione profetica che abbiamo ricevuto nel battesimo. Servono parole ed azioni nuove che portino speranza nella società ed è necessario essere consapevoli che ciascuno nel proprio ambiente fa politica nel senso del tendere al bene comune, con relazioni fraterne e misericordiose.
Non possiamo dimenticare che il beato Paolo VI definiva “la politica come la più alta forma di carità”, che non è riservata solo a chi lavora negli Organismi elettivi quali il Parlamento o le Regioni o i Comuni, ma a ciascuno di noi, chiamati a costruire una nuova umanità, quella civiltà dell’amore che si realizza anche attraverso le norme legislative, amministrative ed economiche. Tali norme dovrebbero essere per noi il risultato della dimensione evangelicamente valoriale che intendiamo proporre, sostenere e diffondere.
Formare una nuova coscienza sociale, capace di distinguere e promuovere le scelte politiche conformi al Vangelo e ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa e di fare obiezione di coscienza sulle altre”: è la sfida del nostro tempo che interpella e coinvolge noi cristiani.
Il fenomeno della secolarizzazione che, come noto significa pensare la vita e viverla “come se Dio non ci fosse” e non avesse modo comunque di essere presente nella storia, caratterizza da alcuni decenni anche il nostro Paese.
Sta incidendo sul rapporto fra credenti e politica, nella misura in cui induce ad affrontare le sfide quotidiane in una prospettiva individualistica, e comunque privata, che mira prevalentemente al cambiamento delle coscienze piuttosto che alla riforma della società.
Proprio per questo non possiamo pensare di trascurare nel nostro impegno di evangelizzazione il rapporto persona-società: rapporto che dovrebbe essere ineludibile per ogni autentico credente.
La bellezza della risposta alla sfida “politica” dei nostri tempi è il recupero del Vangelo nella sua dimensione sociale e non soltanto individuale, proponendo mediazioni culturali ed azioni umanitarie che garantiscono diritti certi e doveri precisi.
“L’impegno politico – cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società – è un impegno di umanità e santità”
Giorgio La Pira
Tendere ad una sintonia tra cristiani e laici intorno ad una comune cultura umanistica può avere rilevanti ripercussioni politiche e sviluppare un’importante riflessione sulla laicità intesa non come espressione di antagonismo radicale tra Stato e Chiesa, ma quale ambito valoriale e culturale condiviso da credenti e non credenti.
Elaborare una sintesi politica mediando tra forze politiche diverse per fare emergere, con sempre maggiore evidenza, il comune retroterra umanistico condiviso.
La concretizzazione di una politica valoriale capace di interpretare i bisogni fondamentali della gente può farsi in ogni ambiente per diventare cultura che porti unità nella differenza e unione senza confusione.
Il profetismo dei cristiani, oggi, può aiutare una conversione strutturale, sociale e politica come prodotto di una prassi culturale incarnata cioè coinvolta nelle tensioni del presente.
Può aiutare a far emergere un nuovo paradigma: la visione trinitaria di Dio opposta all’idolatria del denaro, all’autoregolazione e all’assolutizzazione dei mercati che dimenticano la dimensione relazionale degli esseri umani, relazione che si estende anche alla natura.
A ciascuno di noi tocca trovare il comportamento più opportuno per rispondere con gioia alla sfida “politica” dei nostri tempi, nella certezza che il Vangelo è la buona notizia per tutti gli uomini, è l’annuncio della vera pace. •
 

Nello spirito di Don Orione - In Paradiso sarà sempre festa

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Gaudenzio_Ferrari_c._14781-1546_The_Concert_of_Angels_1534_7In Paradiso non ci sarà più tanta fretta né tanto correre di qua e di là, come l’ebreo errante, e allora anche le povere gambe staranno in pace, e noi ci sederemo sui gradini del trono del Signore, e ai piedi della santissima Madre di Dio, e io voglio mettermi a cantare, e voglio cantare la Madonna per tutta l’eternità. Ho già fatto voto, sa, di andarmi a sedere ai piedi della Madonna, e di cantare le glorie della dolcissima nostra santa Madre. 
E canteremo insieme, caro padre Ignudi! Farò un po’ il pazzarello anche in Paradiso; eh! se fossero tutti savi, sarebbe troppo! Basta: ora finisco perché ho un po’ di lavoro; La vengo a vedere presto, e staremo lieti in Domino. Preghi Lei per questo poveraccio, che vado ingannando tutti e, se Gesù non sta attento, gliela faccio anche a Lui... 
Caro padre, oggi ho una gran voglia di ballare: io voglio cantare sempre e ballare sempre, caso mai, il Signore mi farà un reparto speciale per non disturbare troppo i contemplativi. Sono contento, perché in Paradiso sarà sempre festa e nelle feste c’è sempre allegria, canti, balli, in Domino, e festosità. Io voglio tenere tutti allegri: cantare e ballare sempre: voglio essere il santo dei balli, dei canti, dell’allegria in Domino.•

Lettera a padre Stefano Ignudi (francescano e illustre letterato) dell'11.8.1934; Scritti 37, 171


Questo ed altri articoli sul numero di Maggio 2018
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Chiesa - In ascolto dei giovani

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VersoilSinodo2018_fullI vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni” dice il profeta Gioele e noi avvertiamo tutta l’attualità di questa frase nel cammino pre-sinodale che i giovani stanno facendo e che la Chiesa intera sta conducendo con la Sapienza dello Spirito.
È comunque una realtà che ci coinvolge direttamente perché il rapporto intergenerazionale fa crescere in maturità i giovani, ma ringiovanisce gli anziani che si aprono al sogno di un mondo nuovo.
Già nel suo organizzarsi il Sinodo dei Vescovi per e con i giovani, previsto a Roma per ottobre ha avuto, per volere di papa Francesco, un volto nuovo: partire direttamente dai giovani indipendentemente dalla nazionalità, razza e religione. Sono loro i protagonisti e papa Francesco lo ha voluto realizzare interpellandoli direttamente, in modo che l’assise dei Vescovi potrà studiare le effettive esigenze dei giovani d’oggi e, alla luce della realtà e del discernimento nello Spirito, proporre nuove prospettive che rispondono alle esigenze giovanile del nostro tempo.
Dunque la Chiesa si pone in ascolto dei giovani con interesse, amore ed umiltà rispondendo ai segni dei tempi anche nelle modalità offerte dalla tecnologia. I giovani direttamente o on line hanno partecipato alla fase preparatoria inserendosi, a pieno titolo, indipendentemente dal credo religioso, nei lavori e partecipando con quella “faccia tosta”, come voluto dal papa, nel presentare le diverse problematiche che questo mondo vive in tutti i Continenti.
Da questa partecipazione è emerso un documento che sarà base di riflessione per i Vescovi, un documento voce dei giovani da ascoltare senza filtri, intrecciando così visioni dei giovani e sogni dei Vescovi ed adulti, in uno scambio fecondo di creatività ed esperienza.
Infatti la riflessione sui giovani non vuol dire guardare solo a loro, ma anche mettere a fuoco un complesso di relazioni ed urgenze che coinvolgono tutti: dai rapporti intergenerazionali, alla famiglia, alla vita personale in tutti i suoi aspetti, sociale, economica e politica.
Peraltro l’uso delle moderne tecnologie consente la partecipazione costante ed universale che fa di questa assise dei Vescovi un evento di Chiesa colmo dell’assunzione diretta delle problematiche giovanili.
È ovvio che queste interessano tutti e sono di grande aiuto nella misura in cui noi adulti sappiamo scoprire nell’ascolto sereno, non giudicante, ma collaborante una richiesta delle loro istanze per costruire un mondo migliore.giovani2
Il documento non vuole essere un trattato teologico né vuole stabilire quello che la Chiesa deve fare, ma “rispecchia le specifiche realtà, personalità, credenze ed esperienze dei giovani del mondo… Vuole fornire ai Vescovi una bussola che miri ad una maggiore comprensione dei giovani; uno strumento di navigazione per il prossimo sinodo dei Vescovi su “I Giovani, la Fede e il Discernimento Vocazionale”.
Nella prima parte viene affrontato il tema della formazione della personalità e quindi della esigenza dei giovani di dare un senso alla propria vita ed avere luoghi di sostegno, che possono aiutare nello sviluppo della propria identità, tra questi la famiglia occupa una posizione privilegiata.
Si sottolinea che la sua crisi crea nei giovani sofferenza, problemi relazionali, senso di abbandono e non appartenenza, fattore invece molto significativo nella formazione della propria identità.
I giovani sentono l’urgenza di trovare modelli attraenti, coerenti ed autentici nelle interazioni esterne e nell’appartenenza a gruppi ed associazioni, chiedendo formazione ad un pensiero critico che li aiuti anche nella gestione corretta dei social networks.
Ci sono alcuni momenti cruciali della vita dei giovani quali la decisione dell’indirizzo degli studi, la scelta della professione, la ricerca della Fede, la scoperta della propria sessualità e la scelta definitiva della vita secondo il progetto di Dio su ciascuno, che richiedono un accompagnamento discreto, ma serio, gratuito e illuminato da parte degli adulti.
I giovani sono profondamente coinvolti ed interessati ai grandi problemi sociali quali la criminalità organizzata, la tratta degli esseri umani, la violenza, la corruzione, lo sfruttamento, il razzismo, il femminicidio, ogni forma di persecuzione e di degrado ambientale.giovani1
Hanno paura per il loro futuro: la precarietà del lavoro, l’insicurezza sanitaria, l’evaporazione di valori umani, la difficoltà dell’annuncio evangelico.
Hanno bisogno di incontrarsi tra di loro e con gli altri per poter costruire legami profondi. Si rendono conto che stanno consumando in maniera ossessiva i prodotti multimediali.
Sebbene vivano in un mondo iperconnesso, la comunicazione tra giovani rimane limitata a gruppi loro simili.
Sentono forte e vogliono impegnarsi nei problemi della giustizia sociale, anche se evidenziano spesso un ampio divario fra i desideri e la loro capacità di prendere decisioni a lungo termine.
Si intuisce chiaramente dal documento che i giovani cercano compagni di cammino, uomini e donne fedeli che comunichino la verità lasciandoli esprimere la loro concezione della vita, della fede, della vocazione e del futuro.
Ricercano testimoni vivi, che sappiano riconoscersi umani e capaci di compiere errori, non perfetti ma peccatori perdonati; hanno bisogno di sentirsi accolti come e dove sono, intellettualmente, emotivamente, spiritualmente, socialmente e fisicamente.
Vogliono essere presi seriamente in considerazione in un costante dialogo favorendo l’effusione dello Spirito di Dio sopra ogni uomo, affinché possano divenire profeti di un mondo nuovo, migliore. •
 

Gocce di Spiritualità - Il grande ritorno

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Quaranta furono i giorni del gran-ritorno.
Le chiamarono apparizioni: sono tappe di nuove partenze. Molte erano le cose che aveva ancora da dire. Rimaste sospese.
Erano rimasti in sospeso dei colloqui: certi discorsi erano rimasti a-metà, discorsi quasi morti: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). 
Quando tornò, ritornò esattamente per questo, per fare punto-e-a-capo di tutti quei discorsi.ges_appare
Fu, dunque, una questione di premura il tacerne alcuni nella sua prima vita: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande» (A. Manzoni). 
Senza cicatrici, molti avrebbero confuso l’amore con l’infatuazione, l’amare col farsi compagnia: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti» (Mt 24,11). Cicatrizzato, invece, l’amore parve loro credibile: «La morte non costituiva un incidente della sua carriera; non era un intralcio ai suoi progetti, era al contrario ciò che era venuto a compiere» (F. Sheen). 
Non rimaneva che alzarsi, mettersi in marcia.
Fu la quinta stagione della vita di Cristo.
Quand’apparve, in molti iniziarono a capire che non sarebbero più esistite le mezze-stagioni: lo Spirito di Dio stava iniziando a riaprire strade. A sbarrarne altre.

Quaranta giorni anche stavolta
Poi dissero addio!
Alle vecchie barche, alle reti sdrucite dal tempo: ai paesi natii, alle madri rimaste appresso al lavatoio, ai vecchi mestieri paterni. Era la seconda volta che salutavano: fu quella definitiva.
Ritrovato l’Amore dopo i giorni del sangue, la sua rivelazione divenne l’unica certezza: non aveva fatto loro nessuna promessa, ma siccome tenne fede alla premessa - «Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi» (Gv 14,18) – conclusero tra loro ch’era la persona giusta per la quale lasciar perdere ogni altra vanità. Mossi ancora una volta i piedi al suo seguito, divengono gli «itineranti di un viaggio che sarà interrotto soltanto da tappe di sangue» (G. Papini) 
Tutti gli altri, quelli che dopo aver messo mano all’aratro si volteranno all’indietro, han deciso che saranno discepoli del dio-di-menzogna: quello che continua a fare promesse senza che nessuno gliele chieda. 
C’è posto per l’uno e per l’altro: che ognuno si scelga il suo Dio.
Dopodiché decise lui che il tempo s’era fatto maturo.
Per quaranta giorni apparve a destra e a manca, sulle colline e nei retrobottega, a favore di uno, di cinquemila: pareva d’essere tornati ai vecchi tempi. A differenza che non fece più vita-comune come allora, il tempo della prima-sequela. Non per questo divenne per loro foresto: tornò a frequentare i loro ritrovi, ricominciò ad intromettersi nei discorsi, ribadì per filo e per segno tutto quello che s’erano detti fino allora. Siccome l’ora era giunta anche per loro – per lui di trarsi in disparte poggiando il mondo in mano loro - fornì le ultime istruzioni e ripartì ancora una volta con loro: «Li condusse fuori verso Betania» (Lc 24,50). Non volle metter loro nessuna fretta: insegnò loro, però, che la parola data va mantenuta entro questa vita.
Dunque partirono.
Ripartirono.
Perché lui, dopo quaranta giorni, doveva partire di nuovo.
Quando partì, stavolta salutò tutti. Lo fece nel modo che gli era più congeniale, nel tempo diventato il più familiare: «Alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (Lc 24,50-51). È con una storia d’orfani che Luca cala al suo Vangelo le serrande: questa, pare, la conclusione della ciurma degli amici suoi.
Che, giusto il tempo di riprendersi dallo spavento d’esser rimasti soli, soli restano per davvero. Li beccano con il naso all’insù, nel gesto tipico di chi è preda dello sconforto, forse anche vittima del rimpianto: «Perchè state a guardare il cielo?» (At 1,11). Svegliati, s’accorsero del tetto ch’era stato loro posizionato sopra la loro testa: «Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sua mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana» (J. Ratzinger). 
Tra loro, qualcuno aveva tradito ad oltranza, qualche altro dubitò fino all’ultimo che fosse ritornato, altri ancora mai si dettero ragione dei loro fraintendimenti. Nulla, però, sta più nel loro cuore del fatto d’essere case con un tetto di roccia: petti fragili, sotto cieli di tempesta, protetti da mani di roccia, ch’è materia di fiducia. 
Rincasano a Gerusalemme, i loro volti sono il ritratto della gioia: eppure il loro Maestro è partito, li ha lasciati ancora una volta soli, soli contro un nemico infinito che ha nome mondo. Eppure il cuore è ebbro di gioia: i più, vedutili ridere in quella maniera, dissero che s’erano intontiti nel prestare ancora fiducia alle vecchie-favole: «Ogni addio lascia dietro di sé un dolore. Come poteva non renderli tristi il suo congedo definitivo?» (J. Ratzinger).Giotto_ascensione
Altri, invece, sospettarono che almeno stavolta avessero scoperto il segreto che aveva reso bello ai loro occhi l’Amico, tenuto loro nascosto per anni: l’allegrezza. Per questo, mentre rincasavano, s’accorsero che erano «luminosi di malinconica gioia, pensando alla nuova giornata: la prima di un’opera che, dopo quasi due millenni, non è ancor terminata» (G. Papini). 
Gioiosi perché seppero di star sotto un tetto di parole dette-bene.

Benedette.
La più detta-bene di tutte quelle benedette: “Andate, adesso tocca a voi, amici miei! Resterò sempre con voi: la storia portatela avanti voi. Voi con me: assieme”. Sono umani con scritto fragile sul volto, il loro cuore è un’altalena d’emozioni, addosso portano cucite storie, le loro, che parlano da sé. Eppur sono stati scelti, esattamente loro, per tentare la più folle delle attraversate: andare avanti, tenendosi stretta la memoria dell’accaduto. Ben stretti all’Uomo appena risorto. Via, di corsa, all’assalto: forza, guardateli!
La ciurma s’è svegliata?
Non proprio, s’è vero ciò che scrive Luca a chiusura di un racconto che - l’ha giurato a Timoteo - è stato curato fin nei minimi dettagli: appena tornati, i discepoli «stavano sempre nel tempio lodando Dio» (Lc 24,53). Ancora dentro, rattrappiti: a poggiare le fondamenta della chiesa-delle-nuvole, coi fiori sull’altare di santa Rita, a trastullarsi con le cose dell’anima, quelle eteree, fumose. Dentro, da soli, perchè a parte le ore di punta non si trova anima. A pettinarsi la barba, battersi il petto, lacrimarsi addosso:
Quant’era bello al tempo in cui c’era lui”. Tutti-dentro, «fino a quel sacro dì, quando su te lo Spirito Rinnovator discese, l’inconsueta fiaccola nella tua destra accese» (A. Manzoni)
Tutto previsto, comunque.
Stavolta, però, il Cielo non indietreggia.
Ha deciso che l’avventura inizierà: «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo» (At 2,3-4). Fu tutta questione d’onestà: l’Ascensione, senza la Pentecoste, è il più grosso imbroglio: una diavoleria.
La Pentecoste, appena dopo l’Ascensione, è la più fidata conferma:
«Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,8). Dio non mente. Veni, sancte Spiritus: «Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti che soffriamo, la pietra che ciascuno di noi sente per se stesso»
(G. Papini).
Tutti s’accorsero: chi in tempo, chi fuori tempo, chi allo scadere.
Ciò che fu chiaro a tutti, sostenitori e avversi, è che ancora una volta l’Ecce homo s’era spinto laddove nessuno aveva osato: si fece da parte, per far spazio agli umani. La potenza nell’impotenza.
Nella medesima città del vile tradimento, fiorì l’azzardo di Dio: la Chiesa. Nel cenacolo vide la luce la razza-pura degli assaltatori di Cristo. Per loro han già acceso i fuochi, le fiamme ardono da tempo immemore, le graticole ustionano, i lanciafiamme in resta, i pali fissi in terra: «La paura è una forma bassa della fede» (F. Mauriac).
Stan provando a fermarli: loro non indietreggiano. 
Iddio odia la pace in chi ha inviato per far una giusta guerra.

Pian-piano. Sommessamente.
A Nazareth, passaggio a Betlemme. 
Tra rumori e odori di bottega, iniziò a fabbricare la sua piccola storia, nella più gigantesca storia d’Israele. In punta di piedi, a matita, sottovoce: i petti gagliardi, dopo i fastidi della nascita, parve che l’ignorassero. Lui, muto, s’innalzava in sapienza, età e grazia. 
Davanti a Dio, dirimpetto agli uomini: furono pochi ad accorgersi d’essere dentro un’ora che non era mai stata. Fu «il più piccolo latitante della storia» (E. de Luca). Era primavera.
D’estate, in Galilea, s’affratellò con uomini spicci dal forte accento, dal cuore-di-burro. Pianpiano fece vendere loro le barche, il cuore, i mestieri: ne mutò la destinazione d’uso. Di quella cooperativa pochi s’interessarono, tantissimi malignarono, quasi nessuno s’accorse che stava tirando il mondo a strascico. Visse porta-a-porta: «Una candela può accenderne solamente un’altra, una per volta» (E. de Luca).
Tre 
anni di vita-magra: a sentir Lui la più grassa. Gli han riso in faccia. Gerusalemme, d’autunno. Quella salita la conosceva: irta, calva, spietata. Si chiodò i piedi, prima che gliel’inchiodassero col ferro, con gli sputi: i suoi mica capirono la freschezza di quell’acqua ai piedi. Si congedò, confondendo amici, conoscenti. D’inverno, squartato come una pecora sul Golgota, resse l’affronto: mica s’accorsero ch’era nato per quella sfida. Sputando sangue, d’inverno vide schiudersi le rose di maggio:
Son tutte traveggole”, dissero gl’increduli giocosi là sotto.
All’alba d’una domenica ebraica, rese evidente di che pasta eran fatti tutti i suoi paradossi: era materia folle.pentecosteRID
Gli era riuscito ciò per cui era venuto al mondo, in vista di cui s’era allenato: prender la malora, mutarla in buonora. La cattiva ora, nell’ora migliore: la mala-giornata in buona-giornata. Il buongiorno, quel giorno, lo pronunciò a bassa-voce, ancora una volta. In punta di piedi, ad una mala-donna, risorta pure lei: «Maria!» (Gv 20,16). Fu l’ora prima dello scarto: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal 118,22).
Risuscitò: l’aveva giurato com’era vero ch’esisteva Dio.
Dopo quaranta giorni tornò: l’aveva promesso, era la premessa.
Quando ripartì, la Trinità applaudì: effuse lo Spirito.
Oggi, tutto come allora, porta-a-porta: «Il Risorto è un viandante, non ha più casa in mezzo al mondo» (E. de Luca). A bassa voce, senz’alzare minimamente il tono della voce: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Un signore, il Signore, anche da risorto.
Ha deciso: dipenderà dalla fede dei suoi.
Non ci son più le mezze stagioni.
Di Uno così, il mondo è ancor lì che si scervella:
Quanto costa amare così?
 
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