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Nello Spirito di Don Orione - Carità forte nel Signore

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GiottosanFraVedi, o caro figlio mio, di edificare nell’umiltà e di edificare e unire nella carità tutto ciò che fu diviso, tutto ciò che fu distrutto o disperso da uno spirito umano contrario allo spirito di pace e di dolcezza e di carità in Gesù Cristo Crocifisso.
Per l’unione e la carità, per la concordia e la pace dei miei figli in Gesù Cristo neanche un istante esiterei ad attraversare l’oceano e mille oceani, aiutandomi la grazia del Signore.
Quando ci sono buon spirito e la carità che è il precetto del Signore, tutto va avanti e tutti i figli sono contenti anche nelle privazioni e vivono felici!
La carità è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo. È umile e annega se stessa; si fa tutta a tutti; compatisce gli altrui difetti; è illuminata e prudente; gode del bene delle persone e desidera accertarsene essa, stessa; la carità ha grande stima di tutti i prossimi; interpreta le parole e le azioni altrui nel modo più favorevole, e ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri.


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Giovani - Protagonisti della propria vita per un mondo nuovo

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Ci sembra questa l’esperienza che la Chiesa vuole proporre ai giovani con il sinodo che si sta svolgendo a Roma. Li ha resi partecipi da tutto il mondo con i moderni mezzi della comunicazione per riflettere sulle tematiche reali che i giovani di oggi vivono. Una rappresentanza è presente nella assise dei Vescovi, che si sta impegnando ad ascoltare la loro voce per rispondere evangelicamente alla loro attesa di una vita più autentica e gioiosa.Sinodo18
Questo sinodo li ha resi protagonisti e li coinvolge ad esserlo prima di tutto della propria vita per poter in questo modo costruire un mondo nuovo, una umanità che partecipa della stupenda esperienza di essere creata per amore e per amare.
La vocazione e la missione dei giovani stanno a cuore di tutti perché sono il nostro futuro e sentiamo la responsabilità di accompagnarli, in modo leale e rispettoso, verso un protagonismo che costruisce sentieri di pace e di giustizia, di onestà e sviluppo integrale della persona, di coraggio di andare contro corrente.
Stare accanto ai giovani senza imporre scelte, stili di vita e comportamenti non è facile, ma entusiasmante se queste esigenze si trasformano in ascolto libero e in comprensione del nuovo apportatore di energie, a noi sconosciute o non condivise.
Ci sembra che oggi, con non mai, siamo chiamati ad accogliere i giovani, tendere a elaborare i loro messaggi, anche virtuali, a stupirci delle bellezze che sono in loro soffocate spesso da un sistema di vita che li rifiuta o li esaspera nelle attese.
I nostri tempi hanno, forse inconsapevolmente, defraudato i giovani di alcuni punti di riferimento, quale la famiglia, hanno banalizzato le relazioni umane e con il creato, hanno reso il lavoro precario e poco realizzante delle diverse potenzialità, hanno soffocato la speranza con l’inquinamento corruttivo del sociale e della sessualità, hanno spento il coraggio di un mondo nuovo.Sinodopapa
Il sinodo, ci auguriamo, è il grembo materno nel quale i giovani potranno rinvigorire, o far rinascere quel protagonismo che spinge a costruire la propria vita come un’opera d’arte, perché così uscita dalle mani del Creatore, unica e irrepetibile. Una vita che, accolta in pienezza, può mediante l’azione dello Spirito Santo diventare una liturgia capace di essere aurora di un nuovo mondo, di una umanità che si ritrova nella sua vera identità e costruisce sensibilità e compassione, sguardi ed azioni che portano in ogni ambiente il profumo della carità e la gioia della speranza.
Abbiamo bisogno di aprire le finestre del nostro essere per far entrare l’entusiasmo dei giovani e, nell’accoglienza delle loro proposte, porci accanto ad essi per imparare il nuovo che la loro intelligenza ed il loro stile producono. Possono diventare i nostri maestri nella misura in cui partecipiamo con sapiente umiltà al loro sviluppo e li aiutiamo a discernere con discrezione e serietà di impegno.
Siamo chiamati anche noi adulti, con questo sinodo, ad una grande responsabilità che da un serio esame di coscienza sul nostro comportamento verso i giovani, ci fa ritrovare quelle vie più significative per costruire insieme una società a misura d’uomo, illuminata dalla novità di Cristo che si presenta in ogni epoca come Via, Verità e Vita. •


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Attualità - Giuseppe Sorani: un ebreo in convento

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DALLA MEMORIA ALLA GRAZIA
In questo mese si ricordano gli 80 anni della emanazione delle leggi razziali in Italia. La tristezza e la tragicità di quel periodo sono costellate di sconosciuti episodi di solidarietà che hanno costruito la speranza ed il coraggio di un futuro più umano.

Sorani_Giornale


Noi abbiamo avuto il dono di conoscere, ascoltare, stimare e soprattutto amare, come assistente spirituale dell’Istituto Secolare Maria di Nazareth, don Giuseppe SORANI, ebreo e cristiano, sacerdote della Congregazione di san Luigi Orione.
È morto a Roma il 19 settembre e la sua testimonianza di vita, offerta e sofferta, è per tutti noi un impegno a vivere coerentemente la nostra fede, come gioiosa e serena disponibilità alla volontà di Dio, certi della Sua Provvidenza senza mai discriminare, ma nella pacata sapienza di Dio cogliere gli aspetti positivi di ogni evento, seppur doloroso e drammatico.
Abbiamo vissuto con lui, con don Giuseppe, il gusto della Parola di Dio che scende quale rugiada e soavemente irrora di sapienza la vita.
Riportiamo, per rendere più visibile e conosciuta la memoria e la grazia una intervista che don Flavio Peloso ha fatto a don Sorani il 4 giugno del 2003. La sua storia è fortemente segnata dagli avvenimenti del periodo di persecuzione contro gli ebrei che esplose in Italia durante l’occupazione nazista dall’ottobre 1943 al giugno 1945. Don Sorani aveva allora 14 anni.

Come ha vissuto lei e la sua 
famiglia quel terribile anno?
Dopo la caduta del governo fascista, il 25 luglio 1943, a Roma ci fu un momento di euforia popolare con manifestazioni e saccheggi dei simboli fascisti. Quell’esaltazione fu gelata improvvisamente quando i nazisti ripresero il controllo di Roma dopo la famosa battaglia a San Paolo, l’8 settembre.
Poi, come noto, il 16 ottobre di quel 1943, ci furono la razzia e gli arresti nel ghetto di Roma cui seguì la ricerca, da parte dei nazisti e del fascismo, degli ebrei che abitavano anche fuori del ghetto. Dall’anagrafe del Comune avevano tutte le indicazioni sugli ebrei. Quello è stato il momento più brutto perché hanno deportato e ucciso molta gente.Sorani_tessera
Tutti ci siamo nascosti come potevamo, nei paesi, nei casolari. Il papà, Garibaldo, era medico condotto e la nostra famiglia viveva, benvoluta, alla stazione sanitaria di Acilia. Mamma, Emma, era morta qualche anni prima per le angustie delle leggi razziali del 1938. Io ero un ragazzo di 14 anni e mio fratello Giovanni ne aveva 16. In un primo tempo, papà ci ha nascosti presso qualche contadino che ci conosceva. Dopo lo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944, siamo venuti a Roma, in un appartamentino in via Giovanni Miani, dalle parti di Porta Ostiense, che i miei avevamo in affitto; qui siamo rimasti nascosti solo noi due. Papà trovò protezione all’ospedale Fatebenefratelli dell’isola Tiberina, sotto altro nome, alternandosi nel ruolo di medico e in quello di ammalato, a secondo dell’opportunità.
Poi, quando c’è stato lo sfollamento di Acilia ed era troppo pericoloso per noi due rimanere nell’appartamento di via Miani, io e Giovanni siamo stati portati all’Istituto di Don Orione di Via Induno, a Trastevere, come orfani sfollati. Eravamo piccoli di statura ma già grandi di età; ci portarono amici nostri del Comune di Roma, senza dire niente della nostra realtà ebraica: solo che eravamo sfollati.


Due ebrei in un Istituto cattolico. 
Come era la vita?
All’Istituto di Via Induno, nessuno ci conosceva e noi non dovevamo dire niente. Don Piccinini diceva che noi eravamo stati affidati dal Comune. Si formò un bel gruppo di ragazzi ebrei e naturalmente ci conoscevamo di faccia, di nome. Avevamo però imparato a fare il volto da sfinge. Siccome tutti i ragazzini andavano in chiesa, tutte le mattine, ci mettevamo in fila pure noi, pur non conoscendo nulla del mondo cristiano. Fra di noi, solo uno, Bruno Camerini, chiese apertamente di essere esonerato dall’andare in chiesa. Questo è sicuro perché me lo ricordo, come ricordo la meraviglia di molti per il fatto che non facevamo mai la Comunione.

Ricorda qualche particolare episodio 
di quei mesi?
All’Istituto c’era gente molto eterogenea.
C’erano nascosti anche soldati, ufficiali, alcuni vestiti da prete. Rimase famoso il terribile fatto di Nicola, un giovane ucraino, che quando si è formata la repubblica di Salò ha lasciato l’Istituto. Dopo qualche giorno è ritornato guidando una pattuglia di “repubblichini” che venne a perquisire l’Istituto e ad arrestare persone. Nicola sapeva tutto della casa e indicava l’identità di ciascuno: ebrei, giovani militari italiani, ufficiali, ha raccontato tutto.
Molti ebrei hanno fiutato il pericolo e sono scappati come hanno potuto, addirittura si buttavano dalla finestra, come fece mio fratello.
Io non mi ero reso conto subito della situazione. Ci hanno portato giù nel refettorio. Poi vidi arrivare uno a uno quelli che venivano scovati dai loro nascondigli di fortuna. Io ero nella fila quando Nicola indicava chi era ebreo e chi no. Giunse il mio turno. L’Ufficiale ha fatto cenno a Nicola come al solito, con la pistola puntata alla mia tempia. Nicola, forse perché era ubriaco o forse perché io, da rosso di carnagione ero sbiancato, comunque non mi ha riconosciuto.
E fui salvo.Sorani_parla
Ricordo benissimo che alcuni di quei giovani militari arrestati gli hanno detto “se riusciamo vivi ti daremo il cambio”. Dopo la guerra, quando sono venuti gli americani, hanno rintracciato questo Nicola oltre Via della Camilluccia, a Monte Mario, e l’hanno linciato. Di quelli arrestati a Via Induno credo che se ne siano salvati pochi.
È stato un momentaccio terribile.


Quindi rimase all’Istituto di Via 
Induno fino alla liberazione?
Fino all’arrivo degli americani e alla liberazione di Roma, il 4 giugno del 1944, sono rimasto ancora a Trastevere così com’ero naturalmente, cercando di avere notizie dei miei familiari.
Ricordo che in quei giorni Don Piccinini mi ha affidato la cura di un ufficiale nazista, ora nascosto lì. 
Mi ha detto: “Non sappiamo come fare per questo povero nazista”. Era nascosto dietro una tenda e io gli portavo da mangiare. Così per un mese o due, mi pare, fin che passò la tempesta, perché i partigiani avrebbero ammazzati tutti i tedeschi, come reazione. Mi fece impressione che quell’ufficiale fosse ancora convinto della giustezza dell’ideologia nazista; era ancora convinto che gli ebrei dovessero essere tutti fulminati. 

Un bel tirocinio di riconciliazione 
e di pace per lei adolescente. E come proseguì per lei la vita dopo aver lasciato Via Induno?
Dopo la liberazione abbiamo dovuto ricominciare tutto. La prima cosa più importante da fare era cercare di ricucire un po’ i rapporti. Non avevamo più notizie degli altri familiari da un anno. Dove trovarli? Poi c’era da riprendere gli studi. Erano anni che non andavamo a scuola perché tutto era chiuso, tutto proibito a noi ebrei.Sorani_ghetto
A Milano, il fratello più grande si era messo a fare il facchino alla stazione centrale e con i soldi andava a studiare all’Università Cattolica.
Don Piccinini ha continuato ad aiutare me e Giovanni. Don Piccinini ha avuto sempre un grande senso di rispetto, di attenzione, di prudenza. Ho potuto frequentare la scuola magistrale presso l’Istituto orionino “San Filippo Neri” di Roma.
I preti si fidavano molto di mio fratello; lui era molto bravo, serio; io apparivo meno affidabile.
Comunque Don Piccinini mi portava con sé. Ricordo che mi portò spodall’ex ministro Ferruccio Lantini, nascosto e in attesa di giudizio; mi fece conoscere Arrigo Minerbi, lo scultore ebreo nascosto al San Filippo, Levi Dalla Vida e altre persone e fatti del mondo ebraico.

Di questo tempo è anche il suo 
passaggio al cristianesimo e il battesimo. Come avvenne?
Prima mio fratello Giovanni e poi anch’io abbiamo aderito alla fede cristiana. Ho ricevuto il Battesimo e la prima Comunione nel giorno di San Pietro, il 29 giugno 1945, alla Casa dell’Orfano di Trastevere. Nello stesso giorno ricevetti anche la Cresima in San Giovanni in Laterano da mons. Edoardo Tonna; padrino fu il senatore Antonio Boggiano Pico. Finito il corso magistrale, l’11 ottobre 1947, feci ingresso in Congregazione con la vestizione e con il noviziato presso l’Istituto Santa Maria di Via Massimi. 

Chi ricorda dei sacerdoti dell’Istituto 
di Trastevere?
Ricordo in particolare Don Chizzini e Don Dall’Ovo. Don Liberalon si occupava degli sbandati raccolti nel campo Bruno Buozzi. Don Liberalon ha aiutato molto questi ragazzi, per farli studiare, e dava loro quattro soldi ogni tanto.

E della sua famiglia che ne fu? 
Come passò quel periodo oscuro?
Durante quel terribile anno, la famiglia si è dispersa e ognuno si è nascosto come ha potuto. Mio papà, che era medico, è sempre stato nell’ospedale Fatebenefratelli dell’isola Tiberina.
Il più grande, Giuliano, era già sposato e, di fronte al pericolo, è andato via in modo avventuroso; ha preso una barca a Pescara e, costeggiando l’Adriatico, è arrivato al Sud oltrepassando la linea di confine degli eserciti.
Il secondo, Giorgio, era pure sposato con un bambino, però segretamente, e aveva un amico sacerdote. Credo che sia stato lui poi a riunire la nostra famiglia.Sorani_liberazione
Era riuscito a fuggire di casa quasi miracolosamente. All’arrivo dei tedeschi, qualcuno che lo conosceva, di mattino presto, gli ha telefonato di scappare di casa perché stavano venendo. Quando i soldati sono arrivati, hanno bussato, hanno sfondato la porta ma essi non erano là.
Un altro fratello, Claudio, invece è rimasto a lungo nascosto in una soffitta come Anna Frank. Gli portava da mangiare e da bere la fidanzata; sotto quella soffitta dove stava lui, c’erano due vecchietti. È rimasto nascosto per mesi senza potersi muovere né camminare.

Ricordare è educare. Quale può 
essere l’insegnamento di questi fatti?
Questi sono i fatti, ma poi diventa molto importante capire gli atteggiamenti che stanno dietro i fatti e che maturano a partire dai fatti.
L’atteggiamento certo si può capire un po’ di più se è legato ad una esperienza personale. Faccio un caso.
Si faceva un ritiro al Liceo di Villa Moffa, di pomeriggio. Penso che ci fossi anche tu allora, studente.
Il predicatore aveva fatto tutto il suo discorso parlando contro gli ebrei, ma in una forma vergognosa.
Ed eravamo negli anni ‘70, dopo il Concilio! 
In cappella, i chierici si voltavano indietro a guardarmi, perché la cosa era sfacciatamente negativa.
Usciti mi hanno detto: “Glielo diciamo che lei è ebreo?”. Io ho risposto: “No, parlo io con lui”.
Dopo il ritiro, ci siamo trovati in crocchio a parlare con il predicatore.
L’ho ringraziato del ritiro e gli ho detto: “Padre, sono contento del ritiro, però ha avuto espressioni di cattiveria e di ostilità nei confronti del mondo ebraico”. E gli ho ripreso alcune espressioni. Lui voleva farmi vedere la Bibbia , ma io gli ho detto: “Guardi che le sue interpretazioni mi pare che non siano secondo la Bibbia”.
Lui si è trovato a corto di argomenti.
Ma io li conosco gli ebrei, e lei li conosce?”, quasi mi sfidò. 
Un po’”, risposi. E ripresi: “Vede, se conoscesse gli ebrei non potrebbe parlare così”.
Tutti sorridevano e volevano intervenire.
Poi ho continuato: “Padre, guardi che qualcuno pensa di conoscere gli ebrei. Probabilmente lei non li avrà mai conosciuti, perché se avesse avuto contatti personali con qualcuno, non avrebbe detto certe cose”.Sorani_vignetta
L’episodio dice che non è questione di rilevare o anche rimproverare aspetti negativi o anche antipatici nei confronti degli altri, ebrei in questo caso. Si tratta di educare un atteggiamento di ascolto, di rispetto, di apertura alla verità.
Se avessi parlato come ebreo, immediatamente quel buon Padre avrebbe detto: “Hai capito? Dice questo perché è ebreo”, e non sarebbe giovato a niente. È da far capire che il problema non è personale, né di categoria o di razza.
Ciò che conta è la realtà, la verità, e solo nel suo rispetto ci può essere autentica convivenza, comunione, pace. •


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La voce del Padre - "CARE Figliole"

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4520_foto2Da oggi «TRA NOI» non vi dice più «care lavoratrici», ma «care figliole» per stabilire definitivamente fra lui e voi quei rapporti di intima collaborazione che tanti buoni frutti hanno portato nelle anime vostre, collaborazione a carattere prettamente famigliare che contraddistingue la nostra organizzazione da qualsiasi altra.
«TRA NOI» intende compiere la sua missione in mezzo a voi in modo sempre più corrispondente alle vostre necessità, dando a voi il sapore santo della vostra famiglia lontana. E, come voi sapete, nelle famiglie vi sono i figlioli grandi e quelli piccoli, e sono tanti, almeno nelle buone famiglie cristiane: così anche nella nostra grande famiglia vi sono le anziane, le giovani, le giovanissime. Non importa che esse vengano dalle più disparate regioni con caratteri e mentalità diverse; nella nostra famiglia tutto si aggiusta, tutto si comprende e noi dobbiamo intenderci, sopportarci scambievolmente e volerci bene, tanto, proprio come ci comanda Gesù. Infatti, Egli ci dice: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi»!
So che per alcune di voi sentirsi chiamare «figliola» è stato come il risvegliarsi di cose sopite e lontane e qualcuna ha pianto di commozione; forse, chissà, esse non avevano mai conosciuto il volto della propria madre e del proprio padre, forse la morte le aveva private troppo presto di tanto conforto, e anche se babbo e mamma vivono ancora, fa pur sempre bene al cuore, lontani da casa come si è, un richiamo che sa dì famiglia. 
Quindi, care figliole, «Tra Noi» vi offre quanto vi potrà far dire: «Non sono più sola!».
Le difficoltà della vita rimarranno, ma se staremo uniti si troverà il modo di alleviarle, o meglio di affrontarle insieme. Se la nostra vita terrena è condita di «due soldi di speranza» e del conforto dolcissimo di essere fra gente che vuole sinceramente e disinteressatamente il nostro bene, noi non saremo più come pagliuzze buttate al vento, incerte e disorientate.
Quindi coraggio, riprendete con animo ilare il vostro dovere e cercate di compierlo con quella esattezza che rende soddisfatte voi e la famiglia ove lavorate e che, soprattutto, attira le benedizioni di Dio. •
don Sebastiano Plutino (fondatore del Movimento Tra Noi) nel 1954


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