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Ultime notizie
A sessant’anni dai Trattati di Roma
Ridestare la coscienza 
dell’Europa:
le sue radici cristiane
di Mario Chiaro

L’Europa è ormai entrata come voce imprescindibile nei programmi politici dei partiti presenti nelle 27 nazioni aderenti (dopo l’uscita a fine marzo del Regno Unito, la Brexit) e accende forti dibattiti e divisioni al momento delle elezioni nelle varie nazioni. Alla luce di molteplici sondaggi, appare chiaramente che la fiducia dei cittadini (oggi oltre 510 milioni) nel progetto europeo e giunto ai minimi storici. Il 31 gennaio 2017, poco dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha dichiarato espressamente che le attuali sfide per la UE sono «le più pericolose mai fronteggiate da quando e stato firmato il Trattato di Roma». In particolare si riferiva a tre minacce:
a) la nuova situazione geopolitica del mondo e intorno all’Europa (protagonismo della Cina, la politica russa verso i paesi vicini, terrorismo e guerre in Medio Oriente e Africa, il programma del nuovo presidente americano;
b) la crescita interna all’Unione di spinte antieuropeistiche, di nazionalismi, di forze xenofobe anche di fronte alle massicce migrazioni;
c) l’atteggiamento delle elites favorevoli all’Europa, che mostrano ormai poca fiducia nell’integrazione politica degli stati membri e scetticismo verso i valori della democrazia liberale. Per ripartire non bisogna comunque dimenticare i risultati positivi raggiunti in questo difficile cammino di integrazione: l’UE e la più grande alleanza di democrazie del mondo; l’euro è la seconda valuta di riserva più importante nel mondo; i 27 paesi membri sono il maggior blocco commerciale del mondo; il divario salariale tra uomini e donne e sceso al 16%; l’aspettativa di vita e superiore di otto anni alla media mondiale (oltre 79 anni); tutti i lavoratori hanno diritto ogni anno a quattro settimane di ferie pagate; l’Unione e leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico.

EuropaTra crisi e successi
L’Europa ha avuto per 70 anni una pace e una prosperità mai raggiunti prima: questo fatto impegna i cristiani a non dimenticare mai che l’intera costruzione dell’Europa è un progetto di pace.
In Europa oggi preme la crisi economica, in cui i più deboli hanno pagato il prezzo più alto; c’è un’emergenza umanitaria per l’arrivo alle frontiere di migliaia di persone in cerca di un luogo sicuro dove vivere; incombe la minaccia del terrorismo, che colpisce ristoranti, teatri, strade, instillando la paura e minando l’apertura e la fiducia verso l’altro.
Per i vescovi europei le linee per il futuro sono quelle della Dottrina sociale della Chiesa: «La sussidiarietà e, cioè, capire quando prendere le decisioni a livello europeo e quando, invece, è più proficuo che queste decisioni vengano prese nei singoli paesi.
Sussidiarietà dunque, un principio assolutamente necessario per riguadagnare la fiducia dei popoli. E poi la solidarietà. Se, per esempio, non abbiamo idea su come risolvere il problema della disoccupazione in paesi come Spagna e Italia, l’Europa faticherà ad avere un futuro. Non è più possibile, quindi, dire: questo e un problema che non mi appartiene. È un problema comune. Lo sviluppo dell’Europa deve poggiare su una solida colonna sociale perché se le persone non hanno un futuro, se i giovani non riescono a trovare un lavoro, se le famiglie faticano a costruirsi un avvenire, non e possibile avere fiducia nel progetto europeo». In un mondo dove le persone sono più interconnesse e vicine tra loro, ritornare a un mondo chiuso in se stesso, ritornare ai particolarismi, non è possibile. La Chiesa ha per missione, soprattutto qui in Europa, quella di mettere insieme le persone e mostrare che “è possibile vivere insieme con le differenze”.
La Chiesa, di fronte alle crisi, può dire che e possibile trovare vie di dialogo, ma per riuscirci occorre essere aperti agli altri e non solo interessati al “Il mio Paese, prima” (My Country, first).
Secondo il papa, persona e comunità sono le fondamenta dell’Europa che i cristiani possono contribuire a costruire. I mattoni di tale edificio si chiamano: dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace. L’Europa come luogo di dialogo richiama il ruolo dell’agorà antica, la piazza della polis, spazio di scambio economico, cuore della politica, posto in cui si affacciava il luogo di culto. In questo contesto occorre riconsiderare il ruolo costruttivo della religione nell’edificazione della società e l’opera di favorire il dialogo, come responsabilità basilare della politica.
L’Europa come ambito inclusivo deve quindi superare un fraintendimento di fondo: inclusione non è sinonimo di appiattimento indifferenziato.
Al contrario, si è autenticamente inclusivi allorché si sanno valorizzare le differenze, assumendole come patrimonio comune e arricchente. In questa prospettiva, i migranti sono una risorsa più che un peso. I cristiani sono chiamati a meditare seriamente l’affermazione di Gesù: Ero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35), soprattutto davanti al dramma di profughi e rifugiati. Non si può pensare che il fenomeno migratorio sia un processo indiscriminato e senza regole, ma non si possono nemmeno costruire muri d’indifferenza o di paura. Da parte loro, gli stessi migranti hanno l’onere grave di conoscere, rispettare e anche assimilare cultura e tradizioni della nazione che li accoglie.
L’Europa come spazio di solidarietà significa pensare una comunità in cui ci si sostiene a vicenda.
Permane dunque il dovere di educare i giovani: compito comune di genitori, scuola e università, istituzioni religiose e società civile.
L’Europa come sorgente di sviluppo integrale per la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Allo sviluppo dell’uomo contribuisce il lavoro, fattore essenziale di dignità e maturazione della persona.
Occorre creare imprese virtuose che sono «il miglior antidoto agli scompensi provocati da una globalizzazione senz’anima, una globalizzazione “sferica”, che, più attenta al profitto che alle persone, ha creato diffuse sacche di povertà, disoccupazione, sfruttamento e di malessere sociale».
L’Europa come promessa di pace, con credenti che siano operatori di pace: questo non significa solo adoperarsi per evitare le tensioni, per porre fine ai conflitti che insanguinano il mondo o per recare sollievo a chi soffre. Essere operatori di pace significa farsi promotori di una cultura della pace. Il papa ha richiamato simbolicamente i cento anni dalla battaglia di Caporetto, l’apice di una guerra di logoramento: «Da quell’evento impariamo che se ci si trincera dietro le proprie posizioni, si finisce per soccombere. Non e dunque questo il tempo di costruire trincee, bensì quello di avere il coraggio di lavorare per perseguire appieno il sogno dei padri fondatori di un’Europa unita e concorde, comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace. •



Questo ed altri articoli sul numero di Gennaio 2019 (presente in archivio)
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