Notizie
L'Angolo dell'Arte - "L'Adolescente" di Michelangelo
Un Rinoceronte nel cuore di Romaa cura di Giulia Romano
Un palazzo barocco seicentesco ai confini dei Fori Imperiali, un tempo fatiscente, bizzarramente destinato ad ospitare case popolari. Acquistato dal Comune di Roma dalla Fondazione Alda Fendi Esperimenti dopo aver offerto, per liberarlo, ad ogni famiglia che vi era residente per usucapione, un appartamento in altra zona della città, in quattro anni è stato ristrutturato.
L’architetto francese Jean Nouvel, grande firma (ultimo suo progetto il Louvre di Abu Dhabi), se n’è occupato, realizzando, insieme al direttore artistico di tutto l’edificio Raffaele Curi e con il beneplacito della sovraintendenza ai Beni Culturali, un vero miracolo architettonico, artistico, urbanistico, in equilibrio tra conservazione e innovazione, a partire dalle logiche distributive interne, dagli arredi fino agli scuri delle finestre che, quando chiusi, mostrano dall’esterno l’immagine degli appartamenti esistenti prima dell’intervento di restauro.
Con 3500 metri quadrati, che si sviluppano su sei piani, il Palazzo è un vero Hub culturale nel cuore di Roma.
Al suo interno accoglie mostre, creazioni multimediali, performance, spettacoli teatrali, shops di vario genere e al sesto piano un bar, un ristorante e una terrazza con una vista incredibile del panorama di Roma. Una vera città d’arte nel centro storico e archeologico più affascinante del mondo. Ci si trova nel Foro Boario, dove si svolgeva il mercato del bestiame.
Si trattava dell’area di mercato (Emporio) della città arcaica , collocata vicino alle rive del Tevere, e frequentata dai mercanti greci già all’epoca della fondazione della città, alla metà dell’VIII° Sec. A. C.
Questo spazio è stato aperto al pubblico il 13 ottobre 2018 e vi si accede da piazza Bocca della Verità a fianco dell’Arco di Giano che è illuminato permanentemente da un meraviglioso intreccio di luce gialla e rossa, opera di Vittorio e Francesco Storaro (due volte premio oscar).
L’Arco di Giano, accanto alla chiesa di San Giorgio al Velabro, è un manufatto del IV Sec. d.C. ed è una delle tante meraviglie per anni trascurate e dimenticate della nostra città. Per fortuna adesso è stato restaurato e l’area intorno bonificata: anche se non in tanti sanno che a pochi metri, nel Foro Boario, si compivano riti e sacrifici antichissimi e si muovevano i primi passi della Roma Antica.
Dal 18 dicembre scorso, l’area espositiva del palazzo ospita per tre mesi un’opera eccezionale: ”L’Adolescente” di Michelangelo Buonarroti.
La scultura non è mai stata prestata per un periodo così lungo a un privato e questo riveste un grande significato per la Città di Roma.
Parlare dell’opera del sommo artista del Rinascimento italiano (1475-1564 ) sarebbe impresa sconfinata: qui ci limiteremo a trattare della sua attivitàdi scultore di cui questa opera ci regala l’opportunità. Sono davvero pochi al mondo i musei che possono compiacersi di annoverare nelle loro collezioni sculture originali di Michelangelo: motivo in più per ammirarla qui a Roma! L’opera, di marmo, di dimensione contenuta (h. 54 cm.) è oggi nelle collezioni del Museo Statale dell’Ermitage di San Pietroburgo. In origine, presumibilmente, era destinata alla Cappella dei Medici nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze. La statua, più che un adolescente, raffigura un giovane uomo dalla corporatura atletica.
È accovacciato, come se fosse stato compresso a formare una massa sferica. Ha il capo inclinato verso il basso, le spalle sono abbandonate, con le mani si afferra il piede destro.
Per guardarlo in viso occorre abbassarsi e posizionarsi frontalmente, altrimenti sarebbe visibile solo la sua ricca capigliatura.
Come altre sculture di Michelangelo, anche questa rientra nel novero delle opere della sua maturità volutamente non finite (è stata scolpita intorno al 1534 ). È del tutto assente la levigatura. Il dorso, il bacino, le gambe (eslusi i piedi ) sono modellati in maniera più leggibile, anche se manca ogni cura del dettaglio.
I muscoli, benché appena accennati,sembrano vivi e pronti a contrarsi, a irrigidirsi o a rilassarsi.
Anche i tratti del volto sono appena accennati; l’adolescente è privo di ogni sorta di attributi per cui provoca discussioni per l’interpretazione del soggetto. Tuttavia da questa incompiutezza, la figura ricava una perfezione particolare: ciò che importa è stato espresso!
Ad essere sconfitta non è stata la forza fisica ma quella spirituale. Lo stato d’animo oppresso si impone se si osserva l’opera da entrambi i lati: le spalle abbassate, il volto quasi affossato tra le ginocchia, generano un’impressione tragica.
È stupefacente come Michelangelo sia riuscito a “vedere” tutta la figura di questo giovane in un blocco di marmo di dimensioni così contenute, dalla forma quadrangolare e l’abbia poi “estratta” da lì, eliminando via via il superfluo. L’artista chiarisce in maniera esemplare la sua poetica: “ la forma , preesistente nel blocco di marmo, attende solo di essere scarcerata dall’attività dell’ottimo artista che toglie il soverchio “ Michelangelo, specialmente negli anni della vecchiaia, riteneva essenziale interrompere l’opera per aumentare il contrasto spirito-corpo, forma-materia, vitamorte: nuovo ed efficace strata-gemma attraverso cui l’artista dà voce alla sua interiorità. A dimostrazione di una visione dell’arte molto più avanzata rispetto ai suoi tempi. Così come è ben esplicitato il suo principio tecnico /stilistico sostenuto da specifiche concezioni religiose e filosofiche: per lo scultore l’opera artistica è un doloroso processo di catarsi (purificazione da angosce e passioni) durante il quale le forme cercano di liberarsi dalla materia, così come l’idea, eterna e irragiungibile, tenta di affrancarsi dalla schiavitù del mondo.
Allo stesso modo anche l’anima umana, imprigionata dentro il carcere terreno del corpo, compie Urs Fischer: “Metafora dell’accumulo” New York, Galleria d’Arte Gagosian quotidianamente la sua titanica lotta nel tentativo di realizzare la propria liberazione.
Per capire la staordinaria qualità di quest’opera giriamole intorno.
Si potrà così percepire l’eccezionale padronanza del volume, grande caratteristica di questo incredibile artista: il marmo inanimato affrontato dal suo scalpello si trasforma nella carne viva di un corpo umano.
Nella statua risalta l’ineguagliabile maestria di Michelancgelo e la sua accesa passione per l’uomo, per la sua forza, per la sua bellezza. Non stupiamoci se i suoi contemporanei lo definirono “Divino “ , portatore cioè di quella straordinaria potenza che, ancora oggi, a distanza di cinque secoli, ci si offre inalterata.
Il nome dato a questo spazio multiculturale e multimediale dalla fondazione Alda Fendi Esperimenti è Rhinoceros cioè rinoceronte.
Tanti sono i riferimenti che hanno condotto a questa scelta: un animale evocativo dell’antichità (al tempo di Augusto il rinoceronte era visto come simbolo della forza e della potenza di Roma; il ricordo del rinoceronte di Dante Ferretti per “E la nave va“ di F. Fellini, del rinoceronte di Ionesco e di quello di Urs Fischer “Metafora dell’accumulo” - enorme rinoceronte in alluminio esposto alla Galleria d’Arte Gagosian di New York.
L’idea è, allora, di “stare intorno al rinoceronte”. Accanto all’Arco di Giano è stato posto un rinoceronte in resina a grandezza naturale - realizzato negli studi di Cinecittà - simbolo della Fondazione.
Il Rinoceronte, come ha dichiarato la presidente Alda Fendi, è una specie minacciata di estinzione e, quindi, il simbolo stesso di un’idea di pianeta più giusto, che rispetta il lato ancestrale della natura. Il messaggio forte che ne scaturisce: “bisogna svegliarsi da questo torpore, siamo così tanto circondati dall’Arte e dalla Storia che diamo per scontato tutto quello che abbiamo!“ •
--------------------------------
Info:
Palazzo Rhinoceros Fondazione Alda Fendi Esperimenti
Via del Velabro, 9 visite su prenotazione
Questo ed altri articoli sul numero di Febbraio 2019 (presente in archivio) puoi ricevere il Periodico direttamente a casa contattaci qui: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o qui : Contatti La parola ai piccoli tranoisti... OSSERVO
“È uno stupido”. “Bambinone”. “Ciucciadito”.
Tutte queste frasi erano molto comuni nella 5a B. Bullismo: ecco la parola con cui definire la situazione.
In classe, alle elementari, c’era un bambino bullizzato.
Per privacy chiameremo il bullo Gianfilomelopopolo e la vittima Franco. Per Franco ogni giorno era un incubo. Passava la giornata a combattere contro insulti e cose varie.
Gianfilomelopopolo non gli dava pace.
Ora mi vedo come una dei tanti, che stava a guardare senza agire. Vorrei tornare indietro nel tempo per guardare Gianfilomelopopolo negli occhi e dirgli che era un vero bullo, fatto di odio e di popolarità. Solo dopo ho capito che in realtà il termine “bullo” è una maschera, che copre le persone e le nasconde da come sono veramente.
Dei bulli, il brutto è il modo in cui spaventano.
Infatti le persone che osservano hanno paura di diventare vittime a loro volta, che le “attenzioni “ del prepotente si rovescino su di loro. Ma io dico che se questi osservatori dimostrassero il loro disappunto, uno alla volta - un filo d’erba alla volta - si potrebbero eliminare questi comportamenti, con le ansie e le paure che ne conseguono.
Potremmo vedere un prato fiorito, un posto dove ognuno può fidarsi di chiunque, anche delle persone che non si conoscono.
Il bullo non è solo colui che agisce, ma bulli diventano anche coloro che sanno, che accettano passivamente ciò a cui assistono e che conoscono e che per paura si chiudono in loro stessi!
Togliamo le maschere, apriamo le strade del cuore e dei nostri sentimenti migliori!
Comprendiamo il modo in cui vivono le vittime e aiutiamole perché un solo intervento, una sola parola può cambiare un pensiero, cambiare dei pregiudizi, combattere il silenzio!
Parlare di queste paure ad un adulto, un amico, qualcuno di caro. Perchè il silenzio è il concime del bullismo.
Cancelliamo la paura e diamo voce alla nostra umanità!
Il silenzio in questi casi è ciò che ci differenzia: c’è chi lo sa combattere e chi lascia che si impossessi di lui.
Voglio essere partecipe e combattere il silenzio!
Ilaria
(dei “Piccoli Tranoisti”)
Questo ed altri articoli sul numero di Febbraio 2019 (presente in archivio) puoi ricevere il Periodico direttamente a casa contattaci qui: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o qui : Contatti Il Racconto - ...i barbieri non esistono!...
Un uomo pio era dal barbiere con il suo Breviario e la Bibbia da cui mai si separava e che leggeva nei tempi morti. Giunto al termine del lavoro il barbiere, del tutto inaspettatamente, lo apostrofò con aria di sfida dicendo: “Sì, sì... legga pure i suoi libri e predichi l’esistenza di Dio.... tutte parole per sottomettere gli uomini! In realtà Dio non esiste, altrimenti come si spiegherebbero l’ingiustizia, il dolore, la malattia e la morte? No, io non credo in un Essere Supremo infinitamente buono”.
Il sant’uomo fu colto del tutto alla sprovvista e in contropiede.... gli mancarono le parole per controbattere, per una replica convincente! Stava quindi uscendo dal negozio avvilito, mortificato e inquieto quando, proprio all’ingresso, vide un giovanotto con cuffiette nelle orecchie, jeans tutti strappati, capelli molto lunghi, sporchi e disordinati...
Il suo viso s’illuminò e si precipitò di nuovo dal barbiere esclamando: “Sai che ti dico? I barbieri non esistono! Altrimenti come si spiega la presenza di tante persone con capigliature così scomposte?(!)”.
Il barbiere interdetto provo’ a replicare: “Ma che dice? I barbieri esistono eccome e io ne sono una prova... ma se le persone non vengono da me che posso fare? Non posso certo intervenire e provvedere a barba e capelli di chi non entra nel mio negozio!”.
E il sant’uomo, radioso, prontamente rispose: “Appunto... così è anche per il Padreterno ... se gli uomini non vanno da Lui, Lo ignorano ... certo poi non si può affermare che non esista!!”.
Questo ed altri articoli sul numero di Febbraio 2019 (presente in archivio) puoi ricevere il Periodico direttamente a casa contattaci qui: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o qui : ContattiIl Gocce di spiritualità - L’estate di Maria
di don Marco Pozza
Efeso, 431 anni dopo. Duecento uomini a difendere la Donna.
L’annuncio era stato deflagrante: Dio ha preso-casa in mezzo alle nostre. Ha adocchiato l’unico pezzo di terra rimasta vergine: è diventato tutto sua Madre. Una terra che era anche un nome, appartenenza, custodia: Maria di Nazareth.
Troppo bella quella storia per non sporcarla di fango, troppo grande l’appellativo dato a quella (ma)donna per non trafugarne una percentuale. Nestorio fece la parte del diavolo, maneggiando strane voci: “Cristo ha una doppia personalità. Adesso ha aperto un altro profilo: era Dio, adesso è anche uomo”.
Invece no, Satana: quei due sono un’unica persona. Non ossa tra loro unite, bensì una sorta di trasfusione di sangui: impossibile scinderli, sono un tutt’uno. La sfida fu diretta al Figlio, ad essere portata in tribunale fu Maria: “È Madre solo di Gesù” attaccò Nestorio. “È madre di Dio, sono un tutt’uno” decretarono oltre duecento vescovi che si erano dati appuntamento ad Efeso, 431 anni dopo i fatti di Betlemme. Difesero Maria: nacque il dogma della Divina Maternità di Maria. Maria è la Madre di Dio, non solo del Figlio. Punto, a capo: «Se qualcuno – scrivono i padri ad Efeso - non confessa che l’Emmanuele è Dio nel vero senso della parola e che perciò la Santa Vergine è Madre di Dio perchè ha generato secondo la carne il Verbo che è da Dio, sia anatema». È l’ingresso trionfale di Maria nella teologia: se è vera Madre di Dio, allora può tutto. Possono dire tutto di Lei: con canti di preghiera, squarci di pittura, trame di poesia. Consacrazioni, adorazioni, stupori e intimità. Ad un occhio profano pare quasi esagerato, ma è la strana faccenda che è di tutte le madri: osare anche solo parlare di loro, è parlare di una burrasca in piena azione. Nessun’altra femmina, prima e dopo di Lei, fu e sarà mai come Maria. È «Madre di Dio»: in nessuna festa – delle mille più una che il mondo le tributa – ci si scorda di lodarla per questo suo privilegio: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori». Migliaia di volte al giorno, pur senza saperlo, nell’Ave Maria cantiamo Maria nella sua più eccelsa forma di femminilità: madre, mamma.
A Nazareth fu pista d’atterraggio dell’Eterno.
Tre anni in compagnia in Galilea Per trent’anni – gli anni passati dal Cristo nel muto eremitaggio di Nazareth – la Madre fu donna di parola: il Verbo parlò e tutto fu fatto, Maria parlò e il Verbo si fece carne. Luca, pittore dalle mille sfumature, affitta un verbo di custodia e e ne fa la casa di Maria per oltre diciott’anni: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). Sarà impossibile per chiunque immaginare cosa significhi passare diciotto anni nel compito d’essere madre e custode del Figlio pur avendolo per padre: sono il segreto scolpito nel cuore di Maria. Trent’anni fu il tempo che Cristo impiegò per diventare uomo appieno. Trent’anni fu anche il tempo che impiegò per far crescere la Madre sua: a Nazareth – tra trucioli di legno, intimità familiari, faccende di casa – il Figlio affidò alla Madre la sua fede. Un giorno, quando tutto sembrerà morto, toccherà a Lei bisbigliarlo alla Chiesa. Quando Cristo uscirà da Nazareth perchè l’ora è giunta – «Domattina chiudo bottega. Non si raccolgono più ordinazioni» – anche Maria gli andrà dietro: Lui a dettare la strada, Lei a raccattare coloro che lungo la strada arrancheranno. Del destino del suo Giuseppe il Vangelo fa scena muta: pur altissima come figura – dopo Cristo e la Vergine è la più alta -, scompare come fosse uno zingaro. Esce dalla scena com’era entrato: in punta di piedi, senza disturbo, sotto-voce. Resta traccia in quella rude confidenza di Simeone: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima»(Lc 2,35). Una spada per Maria, nessuna spada a Giuseppe: si defilerà prima. Un umile contraccambio alla sua umile presenza: per disegni celesti, gli verrà risparmiata la vista e la partecipazione alla matta-mattanza del suo Cristo.
Con Giuseppe calano le serrande sugli anni felici di Maria: forse per qualche tempo – complemento di tempo determinato – il Figlio le darà la gioia di portare avanti il mestiere del padre: frammenti di tempo passati più per lavorare l’animo della Madre che per dare forma al ferro. Una mattina, poi, la Vedova diventò pure senza-Figlio: l’unico Figlio la lascerà. Nessuna parola spesa per Maria, nessuna parola detta da Lei sulla soglia di casa. Già poco parlano le madri: loro destino, da un certo punto in poi, è vivere balenando nei silenzi dei figli. Ancora meno parlò Maria, santa patrona delle madri: delle antenate, delle nasciture. In primavera fece un passo avanti: «Eccomi! » (Lc 1,38). Essere-madre è metterci la faccia. D’estate – i tre anni del Figlio ramingo e predicatore – ne fece due indietro: essere madre è accettare di dipendere dalla sorte del Figlio.
Cristo ormai è maggiorenne, pronto a partire: Maria lo sente nella sua carne. Per trent’anni ha condiviso con Lui quella carne: d’ora in poi, assieme alla carne sposerà anche le idee: anche stavolta gli andrà dietro. È madre: dunque pronta a sostenere quella carne bambina dentro le risse del mondo.
Nei quartieri, tra le piazze
Da lontano, oppure appresso: mai alle calcagna a rubare il fiato al Figlio. Nei tre anni di vita-pubblica del Cristo, Maria s’adombra sin quasi ad eclissarsi: “Se n’è andata” avrà pensato il Satana-imbecille. La gente, invece, vedendo come il Figlio ragionava, andava pensando a Lei: “Guardalo: è tutto sua madre!” Hanno le loro buone ragioni: se Dio, domattina, mostrerà d’andare matto per i gigli del campo, è perchè qualcuna gliel’avrà pure trasmesso tutto quel trasporto.
Come pure l’arte del rammendo, la giusta postazione della lanterna, l’angolazione migliore per gustarsi il tramonto. La Madre nel Figlio: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte» (Lc 11,27). Non le resta che prendere il posto per il quale era nata: stare con Dio, per accorgersi dell’uomo e andare in suo soccorso.
A Cana, piena azione: «Non hanno vino» (Gv 2,3). Nulla scappa a Maria, attenta che a nessun cuore venga a mancare la festa, tutta intenta alle faccende dei figli, ad agganciarli al Figlio: «Qualunque cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). È il suo testamento, non parlerà più d’ora in poi. L’ultima parola è materia di affidamento: «Fidatevi!» Chiamare Maria è ricevere in risposta Cristo: «Nulla ho da chiederti: mi basta che rimanga per me la tua visione» (D. Barsotti).
In Galilea Cristo mise in piedi una cooperativa dal basso: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». Detto, fatto: «Lo seguirono » (Mc 1,17-18). Nella ciurma c’era Maria: sorpresa dall’entusiasmo folle di quegli uomini di mare, fiera nel vedere il Figlio in quel nuovo mondo da non perdere l’occasione di farsi pure lei discepola sua, pur essendo Madre. Anche degli amici del Figlio, che erano la sua nuova famiglia: da madre, li squadrava, ne fiutava il temperamento, tesseva parole-su-misura per ciascuno.
Ad ognuno, all’occasione, avrà narrato qualcosa dell’infanzia del Figlio: perchè interrogata, perchè innamorata, invocata. Tutta presa dalla faccenda che più di ogni altra le premeva: fare in modo che tutti gli uomini s’innamorassero del suo Gesù. Che più uomini possibili s’aggrappassero alle sue promesse: «Qualunque cosa vi dica, voi fatela: non rimarrete delusi».
Nella stanza di nozze di Cana, con l’acqua mutata in vino di delizia, s’accese la certezza che ancor oggi splende: pare più facile separare la luce dal sole che Maria da Gesù. La vita degli uomini è piena d’immense mancanze, la vita pare un’immensa mancanza. Nel tempo della mancanza, non resta che scegliere tra le solite due possibilità: incolpare Dio, come Lucifero. Oppure l’altra: chiedere a Dio la pietà, come Maria: «Non hanno vino». Trent’anni impiegò, alla scuola del Cristo-Bambino, ad apprendere i misteri di Dio, i suoi segreti percorsi: li visse in se stessa, per capirli meglio negli altri. Per tre anni, poi, s’allenò a farsi madre di tutti: degli impauriti, dei fuggiaschi, dei marinai, degli esploratori, delle madri senza figli, dei figli senza madri. Dei bestemmiatori, adoratori. Raccontare di Lei sarà pensare a Lui: “Ciao Maria, saluta Gesù da parte mia”.
Uscita dalla stanza di Cana, tornerà forse alla solitaria casetta di Nazareth. Con divagazioni furtive a far compagnia al Figlio nelle strade di Palestina. Tornerà alla fine: sarà l’altra sua ora, quella della cura, dell’«Ecco il tuo Figlio» (Gv 19,26).
Nel frattempo, è il tempo delle lacrime, della meditazione, del bordo-strada a ripassare la strada.
Il titolo – La Mediatrice
“Mediazione” è termine che appartiene alla giurisdizione. Una mediazione la si offre, la si accetta,la si esercita. Il verbo è mediare, il sostantivo è mediatore: l’obiettivo è la consacrazione di un accordo. È anche termine teologico, grazie “Nozze di Cana”. Miniatura del Codex Egberti, Scriptorium dell’Abbazia di Reichenau.
Treviri, Biblioteca Nazionale al genio di Paolo: «Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5-6). Chiarezza, nessuna sbavatura: il massimo di ciò che Dio aveva in cuore di dire-dare all’umano, l’ha detto-dato in Gesù di Nazareth. Solo Cristo, per chi vorrà salva la sua vita, è via obbligata per la salvezza: «Nessuno viene al padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).
È la via-direttissima per il Padre: non tanto «Rivolgetemi a me, poi riferirò» bensì «Chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9). È la novità di Betlemme: Dio si lascia trovare, toccare, masticare. Maledire.
Nessun obbligo, però: l’uomo è libero di dannarsi. Per salvarsi, dunque, non basterà solo dire: ora pro nobis. Sarà necessario prendere posizione, lasciarsi trafiggere da questa vicinanza: è il cum nobis, l’apice della libertà, quell’inatteso «resta con noi, Signore!» (Lc 24,29) intonato ad Emmaus, terra del Dio Risorto. Cristo è l’assoluto, Maria è subito dopo: «L’unica mediazione del Redentore non esclude ma suscita nelle creature una varia collaborazione partecipata da una unica fonte» (Lumen gentium).
Che è come dire: Maria, cronologicamente, vien prima del Figlio.
Teologicamente gli viene subito dopo: solo così il popolo che la prega ne potrà strappare la sua intima bellezza. Luigi Grignon de Monfort, una figura di santo maturatosi all’ombra di Maria, usa parole dolcissime:
«Se tu dici Maria, ella ripete Dio perchè Maria è la meravigliosa eco di Dio». Il ritornoa-Lui: è questo il cuore del cuore di Maria. Contemplarla lì, appena dietro il Figlio, non solo non nuoce alla bellezza del Cristo, ma ne garantisce la purezza. Nessuna sorta di conflitto tra i due: togliere a Maria non è aggiungere qualcosa al Cristo, esaltare Maria non è svalutare Cristo. Che ognuno stia al suo posto: è Vangelo.
Perchè al-suo-posto, Maria ha un posto tutto speciale: è entrata in modo del tutto personale «nell’unica mediazione fra Dio e gli uomini,che è la mediazione dell’uomo Cristo Gesù» (Redemptoris mater). Un posto speciale, da madre: è mediazione-materna. Una manovra d’intercessione, una sorta di cooperazione affinchè si realizzi il sogno folle del Figlio suo: che l’umanità rinasca prendendo la sua forma. «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio». • Questo ed altri articoli sul numero di Febbraio 2019 (presente in archivio) puoi ricevere il Periodico direttamente a casa contattaci qui: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o qui : Contatti |