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Goccie di Spiritualità - La primavera di Maria

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Don Marco Pozza

L’annuncio dell’angelo a Dio. Oppure a Maria.
 
mar_219_1Per migliaia d’annate si erano riversati addosso 
quell’eterno dubbio, il punto-forte di Lucifero: “Dio, dove sei?” Satana, nel frattempo, amava dilettarsi nel maneggiare l’arnese del sospetto: “Eravate state avvisati: un Dio così non è affidabile”. Un giorno, era mattina presto, Dio battè-un-colpo: entrò in punta di piedi nella storia, quando il popolo meno se l’aspettava: «Ave Maria, il Signore è con te» (Lc 1,28). Con-te: eccolo dov’è andato a confinarsi Dio, ecco la tenda dell’incontro. Una preposizione, tra le più minute della grammatica, per fare luce sulla posizione più irriverente della divinità: “con”, complemento di compagnia, complimento di vicinanza, mai-più-soli. «Non temere!», più che un grido è una constatazione: che cosa temere di un Dio che chiedeasilo nel grembo di una donna? Maria non teme più nulla dopo quell’annuncio rocambolesco, nemmeno ha timore d’infastidire Dio: «Come è possibile?» (Lc 1,34) Credere non è rassegnarsi, è invitarsi al dialo: il Cielo si annuncia a Maria, lei gli annuncia che lo invita a sedersi, per parlarne. Chiedere e ascoltare: questa è la nostra fede. Poi non sarà tutto chiaro, non ci sarà nulla di chiaro. Pare ovvio: Dio non parla come l’uomo. Dio è Dio, l’uomo è l’uomo, non è Dio. Con-Dio, però, anche le tenebre sono luce: «Eccomi, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,46).
L’arcangelo partì da lei. Nello stesso punto – da lei – partì pure la vita: «Con ignota dolcezza e ignota pena la giovinetta chiusa nell’ascolto sente stormire in sè i giorni futuri» (M. Guidacci). La dipingono come l’annunciazione dell’angelo a Maria. Forse sarebbe meglio far fare una capriola a quell’affermazione ormai consunta, non per questo assai noiosa.
E’ successo così, ma è successo anche l’esatto contrario: l’annunciazione dell’arcangelo al Cielo. Quel postino, venuto con un messaggio da recapitare, rincasò con una risposta da consegnare: “Dio, Maria ha accettato l’invito”. Solo in-andata, potrebbe anche apparire come una chiamata-senza-risposta. Andata e ritorno, pare ancora oggi la risposta più folle alla domanda più invadente: “Ci stai? Ci sto!” Dopo quell’annuncio-con-risposta, fu chiaro a  tutti che la chiamata di Dio non andrà più ricercata nel passato della memoria ma nel tempo futuro della promessa: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1,35). Che importerà, d’ora innanzi, rispondere al Cielo esagerando? A Nazareth, l’annunciazione fu anche ammaestramento: solo le vite esagerate sono degne d’essere vissute.

Trent’anni di povere giornate a Nazareth

mar_219_2Un punto di contatto, per stringere la mano al mondo. Era questo che andava cercando Dio. Troppi no s’erano scagliati dalla terra al Cielo: la terra, nel tempo, s’era incagliata come nave in acque paludose.
Al Cielo era necessario ripartire, piedi-a-terra: basta promesse, solamente fede alla premessa dipinta nell’Antica Alleanza: “Arriverà un giorno una Donna: sarà Donna come nessun’altra prima nè dopo”.
Fu così che Nazareth – villaggio senza difesa, senza importanza – si fece pista d’atterraggio dell’Eternità: il grembo di una ragazza si fece bottega perchè Dio iniziasse la ri-creazione del suo sogno.
Terra vergine, feriale: terra arata con benedizioni celesti mai udite prima.
Maria di Nazareth: storia di un Dio che fa il suo ingresso nella ferialità. Non rifugge la miseria, ma dentro la miseria ammaestra a cercare la bellezza.
Di più: accerta che c’è, per ognuno, una percentuale di bellezza a disposizione. Eccola Maria: presso il lavatoio a sciacquare panni, al mercato a tirare il prezzo, nella bottega a far quadrare i conti, a scuola a discutere del Figlio. Vita povera: la povertà di Nazareth fu il preludio di quella di Betlemme. Nessuno, nel frattempo, s’accorse. Impossibile dire quello che significhi passare trent’anni nel compito d’essere Madre di Dio, pur avendolo come Padre: «Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura» (D. Alighieri). Scelse di stare in verticale, in ginocchio: il mondo si dilettava a stare in orizzontale.
Al pippistrello di Lucifero non riuscì nulla contro di Lei: scelse di distinguersi preoccupandosi di non mettersi in mostra, che nessuna delle amiche rischiasse di sentirsi spaesata di fronte a lei. Scelse di farsi piccola: un giorno gli umani che scalano le vette l›invocheranno «Signora delle cime». Più in basso sta, più in alto a portano.
Per trent’anni ebbe grazia che a nessun’altra donna fu più concessa d’allora: quella di contemplare Dio nel quotidiano, di palparselo con le mani di madre, di portarlo a letto come fosse un bambino qualsiasi: era pur sempre il suo bimbo, «lo allattava più a lungo, peravere un motivo di abbracciarlo» (E. De Luca). Le dissero “fai attenzione!”, le parlarono di spade, d’infiniti contrasti, la murarono dentro segreti intrattenibili. Lei si fece in quattro, fece di tutto, l’essenziale: fece spazio a Dio. Per farci star dentro tutti. Nel pensiero del mondo cade un’Ave.

L’atteggiamento - Donna sensibile, dunque sensuale
 
mar_219_3“Meno umanità, più divinità” erano convinti a Nazareth. Mai accettò, Maria, di spartire quella folle logica: non è diminuendo la propria umanità che si permette al Cielo di festeggiare. La felicità d’Iddio è vedere l’umanità sbocciare nelle sue piccole creature: aumenta Dio, aumento anche io. E viceversa. 
Fu la donna dei cinque sensi. Nessuno, al pari suo, fece dei suoi sensi la porta d’ingresso delle divinità. 
L’udito delicatissimo di Maria: «Ave Maria, piena di grazia» (Lc 1,28). Allenatasi ad ascoltare la Parola sin da quand’era bambina, le riuscì di captare la voce di Dio in mezzo alle mille interferenze di quaggiù.
Ascoltare, per lei, non era sinonimo di sentire: si sente con l’udito, si ascolta accordando i timpani col cuore. La vista di Maria: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Trasparente nello sguardo – il peccato non ne aveva offuscato la bellezza – s’accorse che dentro il suo quotidiano aveva preso casa Dio: non fuori dalla storia, non senza la sua storia, seriamente dentro il trambusto della sua storia. 
S’accorse del passaggio di Dio, salì e divenne lei il passaggio per andare a Dio: ad Jesum per Mariam (A Gesù attraverso Maria). Il tatto è il senso che ancora più stordisce di lei: «Diede alla luce il Figlio, lo avvolse in fasce, lo depose nella mangiatoia» (Lc 2,7). Toccare Dio, carezzarlo, stringerne la carne, adorarlo con gesti d’amore. Dio ha un debole per i temerari: con loro s’intenerisce, ringrazia per averlo stretto, non trattenuto. Amare è abbracciare senza sequestrare. 
Forte d’udito, specialista della vista, assai manuale: con il suo tatto accese il contatto tra terra e Cielo.
Forte di odorato, mai nascose il segreto per braccare Dio: “Attenzione: nessuno sospetta che la Bellezza ami nascondersi sotto ad un pugno di stracci”. Annusare le traiettorie di Dio, giacchè più che il morire la vera tragedia è il non aver vissuto affatto, vissuto male. Rimarrà nei secoli, dunque, la donna dell’olfatto: chi la pregherà, farà memoria di tutto quello che Dio sogna per ciascuna creatura. Che lo amino: per riuscire un giorno a conoscerlo. Che la smettano di volerlo a tutti i costi conoscere per decidere se amarlo oppure no: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
A Nazareth – facendo a pugni con i tempi lunghi dell’attesa – tutti s’erano quasi convinti che il problema fosse il ritardo di Dio, la poca-voglia di mostrarsi all’umanità. Maria, donna dai sensi allenati, fiutò l’alternativa: era l’uomo che si negava a scoprirlo, per quell’innata paura di trovarselo davanti e dover fare i conti con l’Amore. Fu per questo che, Madre di Lui, divenne madre di tutti, per tutti. Dei cinque sensi non tenne paura alcuna: li accese e ne fece il passaggio per Dio. Da sensibile divenne sensuale, la madre della sensibilità.

Il titolo – L’Ausiliatrice

mar_219_4E’ nata per fare la guerra, anche per andare in guerra: per essere condottiera di chi in guerra andrà per difendere le gesta del Figlio suo. Per il popolo romano auxilia erano le truppe alleate. Termice bellico, evocativo di archibugi, spade, guerre, mattanze.
Campi di battaglia. Anche la fede è una guerra da combattere fino all’ultimo, sul limite, a colpi di fioretto più che di mortaio. C’è una donna nata proprio per fare questo, la guerra al male: “Beati coloro che andranno in guerra con lei!” Per fare la guerra al matto di Satana, per urtare la menzogna fuori dalle tane, abbagliare con la luce l’oscurità. Nacque a Nazareth, Maria: fu concepita altrove, migliaia di notti prima, quand’era buio pesto. Più che tardare ad apparire, lasciò che la desiderassero. Poi arrivò puntuale, in perfetto orario: a Nazareth, a Lepanto, a Vienna contro la Mezzaluna, contro Napoleone.
mar_219_5Sempre così: per chi ha mira, basta un colpo solo. «Auxilium christianorum» la prega da migliaia di stagioni il popolo fedele al Figlio. Maria è alleata, aiuto, compagnia di profezia. Nessun conflitto-d’interessi: la redenzione di Gesù Cristo è stata l’apice della fantasia restauratrice di Dio. Maria, com’è di tutte le madri, è di aiuto al Figlio nella sua avventura. S’è posta alla sue calcagna, l’ha voluta Lui in quella posizione. Nel tempo – in virtù di quegli strani mesi che un figlio passa nel grembo della madre sua – s’è convinta di riuscire ad intercedere presso di Lui: “Dì tu, Maria, una parolina a Gesù da parte mia”. Tutto così semplice, così materno. E’ madre.
Tutte le madri, quando c’è da combattere, sono schierate a battaglia dalla parte dei figli: nelle sale d’attesa dei ricoveri, davanti alle sbarre di una galera, sulla soglia di una casa spaesata. E’ sovrana nel regno del Figlio: come ogni sovrana nutre estrema cura del destino dei suoi sudditi. Appartiene anche lei a Cristo: come una coinquilina, collabora pure lei alla riuscita della famiglia. Ha una somiglianza con la Chiesa: siccome la somiglianza è ragione di amore e l’amore è la sorgente dell’aiuto, la Madre non può che intervenire a difesa di chi le assomiglia così tanto da sembrare una sorella-gemella.
Il difficile non è mettere in pratica una decisione: questo il Cielo lo sa bene.
Difficoltoso è prendere una decisione: stanare la speranza laddove nessuno ha più ragioni-di-speranza. Intravedere una strada laddove nessuna strada pare più possibile, una storia dove non ci sono più storie da narrare. Maria, in fatto di speranza, è la concretezza-fatta-carne: non idealità, nemmeno entusiasmo, ma un realismo d’inimmaginabile fattura. A Nazareth, quand’era in vita, il margine di manovra era limitato. Assunta in Cielo – non morì, Maria – il suo potere divenne inarrestabile. La intonano nelle litanie: «Auxilium christianorum (ora pro nobis)». E’ grido di battaglia, confidenza. 
Alleata per poter sperare, far sperare: fare tutto ciò ch’è possibile perchè la speranza diventi storia. I sogni divengano segni.
Per trent’anni visse gomito-a-gomito con Gesù, compagna di Giuseppe: “Con tutto quello c’era da fare, trent’anni ha tenuto Cristo a casa”, pensa ancora la gente. 
Più che trattenerlo, s’era messa al suo servizio.
Lui impiegò trent’anni a diventare uomo. Lei, in quel laboratorio di silenzio, gli prestò il suo viso di madre per guardare il mondo. Quel viso fu il primo libro illustrato per il Diobambino. •

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Nello Spirito di Don Orione - Il coraggio che viene dalla fede

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do1902Coraggio e fede e pace grande di spirito! Nei servi di Dio, e più in quelli che sono Figli della Divina Provvidenza, non deve mai entrare alcuno scoraggiamento, appunto perché siamo Figli della Divina Provvidenza.
Noi siamo soldati di Gesù Cristo, e però non dobbiamo temere, ma aumentare un coraggio superiore di gran lunga alle forze che sentiamo, perché dove finiamo noi, là comincia l’azione di Dio che è con noi! Sarebbe sconveniente assai perdere il coraggio sotto un tale Padrone e Duce.
Confidenza in Dio!
Confidenza in Dio!
Confidenza in Dio!
Nulla di più caro al Signore che la confidenza in Lui!
La nostra debolezza non deve sgomentarci, ma dobbiamo considerarla come il trionfo della gloria di Gesù Cristo.


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Attualità - Ridestare la coscienza dell’Europa

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A sessant’anni dai Trattati di Roma
Ridestare la coscienza 
dell’Europa:
le sue radici cristiane
di Mario Chiaro

L’Europa è ormai entrata come voce imprescindibile nei programmi politici dei partiti presenti nelle 27 nazioni aderenti (dopo l’uscita a fine marzo del Regno Unito, la Brexit) e accende forti dibattiti e divisioni al momento delle elezioni nelle varie nazioni. Alla luce di molteplici sondaggi, appare chiaramente che la fiducia dei cittadini (oggi oltre 510 milioni) nel progetto europeo e giunto ai minimi storici. Il 31 gennaio 2017, poco dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha dichiarato espressamente che le attuali sfide per la UE sono «le più pericolose mai fronteggiate da quando e stato firmato il Trattato di Roma». In particolare si riferiva a tre minacce:
a) la nuova situazione geopolitica del mondo e intorno all’Europa (protagonismo della Cina, la politica russa verso i paesi vicini, terrorismo e guerre in Medio Oriente e Africa, il programma del nuovo presidente americano;
b) la crescita interna all’Unione di spinte antieuropeistiche, di nazionalismi, di forze xenofobe anche di fronte alle massicce migrazioni;
c) l’atteggiamento delle elites favorevoli all’Europa, che mostrano ormai poca fiducia nell’integrazione politica degli stati membri e scetticismo verso i valori della democrazia liberale. Per ripartire non bisogna comunque dimenticare i risultati positivi raggiunti in questo difficile cammino di integrazione: l’UE e la più grande alleanza di democrazie del mondo; l’euro è la seconda valuta di riserva più importante nel mondo; i 27 paesi membri sono il maggior blocco commerciale del mondo; il divario salariale tra uomini e donne e sceso al 16%; l’aspettativa di vita e superiore di otto anni alla media mondiale (oltre 79 anni); tutti i lavoratori hanno diritto ogni anno a quattro settimane di ferie pagate; l’Unione e leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico.

EuropaTra crisi e successi
L’Europa ha avuto per 70 anni una pace e una prosperità mai raggiunti prima: questo fatto impegna i cristiani a non dimenticare mai che l’intera costruzione dell’Europa è un progetto di pace.
In Europa oggi preme la crisi economica, in cui i più deboli hanno pagato il prezzo più alto; c’è un’emergenza umanitaria per l’arrivo alle frontiere di migliaia di persone in cerca di un luogo sicuro dove vivere; incombe la minaccia del terrorismo, che colpisce ristoranti, teatri, strade, instillando la paura e minando l’apertura e la fiducia verso l’altro.
Per i vescovi europei le linee per il futuro sono quelle della Dottrina sociale della Chiesa: «La sussidiarietà e, cioè, capire quando prendere le decisioni a livello europeo e quando, invece, è più proficuo che queste decisioni vengano prese nei singoli paesi.
Sussidiarietà dunque, un principio assolutamente necessario per riguadagnare la fiducia dei popoli. E poi la solidarietà. Se, per esempio, non abbiamo idea su come risolvere il problema della disoccupazione in paesi come Spagna e Italia, l’Europa faticherà ad avere un futuro. Non è più possibile, quindi, dire: questo e un problema che non mi appartiene. È un problema comune. Lo sviluppo dell’Europa deve poggiare su una solida colonna sociale perché se le persone non hanno un futuro, se i giovani non riescono a trovare un lavoro, se le famiglie faticano a costruirsi un avvenire, non e possibile avere fiducia nel progetto europeo». In un mondo dove le persone sono più interconnesse e vicine tra loro, ritornare a un mondo chiuso in se stesso, ritornare ai particolarismi, non è possibile. La Chiesa ha per missione, soprattutto qui in Europa, quella di mettere insieme le persone e mostrare che “è possibile vivere insieme con le differenze”.
La Chiesa, di fronte alle crisi, può dire che e possibile trovare vie di dialogo, ma per riuscirci occorre essere aperti agli altri e non solo interessati al “Il mio Paese, prima” (My Country, first).
Secondo il papa, persona e comunità sono le fondamenta dell’Europa che i cristiani possono contribuire a costruire. I mattoni di tale edificio si chiamano: dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace. L’Europa come luogo di dialogo richiama il ruolo dell’agorà antica, la piazza della polis, spazio di scambio economico, cuore della politica, posto in cui si affacciava il luogo di culto. In questo contesto occorre riconsiderare il ruolo costruttivo della religione nell’edificazione della società e l’opera di favorire il dialogo, come responsabilità basilare della politica.
L’Europa come ambito inclusivo deve quindi superare un fraintendimento di fondo: inclusione non è sinonimo di appiattimento indifferenziato.
Al contrario, si è autenticamente inclusivi allorché si sanno valorizzare le differenze, assumendole come patrimonio comune e arricchente. In questa prospettiva, i migranti sono una risorsa più che un peso. I cristiani sono chiamati a meditare seriamente l’affermazione di Gesù: Ero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35), soprattutto davanti al dramma di profughi e rifugiati. Non si può pensare che il fenomeno migratorio sia un processo indiscriminato e senza regole, ma non si possono nemmeno costruire muri d’indifferenza o di paura. Da parte loro, gli stessi migranti hanno l’onere grave di conoscere, rispettare e anche assimilare cultura e tradizioni della nazione che li accoglie.
L’Europa come spazio di solidarietà significa pensare una comunità in cui ci si sostiene a vicenda.
Permane dunque il dovere di educare i giovani: compito comune di genitori, scuola e università, istituzioni religiose e società civile.
L’Europa come sorgente di sviluppo integrale per la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Allo sviluppo dell’uomo contribuisce il lavoro, fattore essenziale di dignità e maturazione della persona.
Occorre creare imprese virtuose che sono «il miglior antidoto agli scompensi provocati da una globalizzazione senz’anima, una globalizzazione “sferica”, che, più attenta al profitto che alle persone, ha creato diffuse sacche di povertà, disoccupazione, sfruttamento e di malessere sociale».
L’Europa come promessa di pace, con credenti che siano operatori di pace: questo non significa solo adoperarsi per evitare le tensioni, per porre fine ai conflitti che insanguinano il mondo o per recare sollievo a chi soffre. Essere operatori di pace significa farsi promotori di una cultura della pace. Il papa ha richiamato simbolicamente i cento anni dalla battaglia di Caporetto, l’apice di una guerra di logoramento: «Da quell’evento impariamo che se ci si trincera dietro le proprie posizioni, si finisce per soccombere. Non e dunque questo il tempo di costruire trincee, bensì quello di avere il coraggio di lavorare per perseguire appieno il sogno dei padri fondatori di un’Europa unita e concorde, comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace. •



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La Voce del Padre - “Beati gli operatori di Pace” (Mt 5,9)

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«Migliaia di volte abbiamo sentito risuonare ai nostri orecchi questa parola, pace, che Dio creatore ha messo nel profondo del cuore di ogni uomo. 
Gesù ne fa una beatitudine: «Beati...».padre_3001
Da millenni l’uomo cerca di vivere questa «pace» ma non sempre o quasi mai con i mezzi adatti a dargli la pace. Dio, nella sua bontà ha mandato il suo Figlio Unigenito a portarci la pace e ad insegnarci dove e come dobbiamo cercarla.
Quando parliamo di pace non dobbiamo fermarci solo all’assenza di guerre, ma dobbiamo scendere in tutti i settori della vita sociale e comunitaria incominciando dalla famiglia dove vengono costruite le cellule della società.
Siamo dei battezzati, dei consacrati per il bene comune, per la glorificazione di Dio fra gli uomini, dei serbatoi di pace, di concordia e di amore che dobbiamo diffondere nel mondo. Non dobbiamo e non possiamo ‘rinunciare a questo nostro privilegio; noi dobbiamo essere a fianco del Papa instancabilmente sempre vicini, pregare, soffrire con lui combattere con la parola e con le opere perché si stabilisca un nuovo linguaggio, il linguaggio del colloquio e della convivenza umana e cristiana. 
Dobbiamo partire da presupposti veri perché la pace diventi realtà, rinnovare e vivificare i nostri rapporti con Dio, vera sorgente di pace e di amore, perciò la pace è riconciliazione con Dio, è giustizia.
«Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto e perenne sicurezza» [Is 32, 17).
«Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe da te la mia alleanza di pace» (Is 54,10).
La pace è riconciliazione ma è anche frutto dello Spirito Santo.
«È amore pace, gioia, concordia... (Gal 5, 22). Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è pace, gioia dello Spirito Santo » (Rom 14, 17).
La pace che ci offrono Dio e la Chiesa non è quella delle superpotenze o dei regimi totalitari perché non viene dal di dentro dell’uomo e perciò non lo trasforma per inserirlo in una società di fratelli.
Se l’umanità vuole conseguire la pace deve fare una profonda riflessione per non lasciarsi ingannare dalle varie ideologie, perché la vera pace consiste nella conversione dell’uomo all’unico Dio: «Convertitevi e credete al Vangelo» ci dice il Principe della pace, cioè alla fraternità, all’amore che crede, che spera in un avvenire migliore.
padre_1_3001Questa nuova forza è quella del Vangelo che ha la capacità di scuotere il nostro torpore e farci vivere come cristiani luce del mondo e sale della terra, non per illuminare le miniere di oro o di altri metalli, ma la coscienza dei nostri fratelli per indurli al dialogo, per suscitare in essi il vero desiderio della pace.
Il mondo non si cambia soltanto a parole e la pace non viene dai grandi cortei di parte dove in nome della pace si seminano odio, sopraffazioni e divisioni.
Non siamo dei conformisti, tanto meno di quelli che vogliono cambiare il mondo per i loro interessi, ma coloro che si sentono responsabili di tante vittime innocenti è di tanto sangue che continuamente, unito a quello di Abele il giusto, va ad innaffiare la terra.
Per missione siamo stati chiamati da Dio ad essere operatori di pace per essere suoi figli. Vogliamo rinunciare e permettere che il male, la violenza, la droga, |a distruzione prendano il sopravvento? Coraggio ci vuole e violenza con noi stessi per uscire da una situazione che sa di droga: l’indifferenza, il disinteresse, il pensare che «lo fanno gli altri».
Non abbiamo il potere di delegare altri a compiere la nostra missione di discepoli di Gesù, di cristiani e di portatori di pace e di amore: La nostra è missione personale.
Il nuovo anno ci trovi svegli e ben disposti a compiere con gioia la nostra missione ed è questo l’augurio che vi faccio: che la nostra gioia trabocchi dai vostri cuori ed invada tutti gli ambienti e tutto illumini con quella luce che Gesù ha messo nel cuore di ognuno di noi. •
don Sebastiano Plutino [fondatore del Movimento Tra Noi] nel 1983


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