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Chiesa - Da una economia dello scarto a una economia solidale

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“Il Sole 24 Ore” intervista papa Francesco del 7 settembre 2018
a cura di Guido Gentili

Nella intervista che papa Francesco ha concesso al direttore del giornale “economico” Sole 24 Ore, dottor Guido Gentili il 7 settembre u.s. vibra tutta la passione del papa nell’orientare ogni attività umana e quindi anche quella economica e finanziaria ad un nuovo umanesimo che pone al centro la persona e il bene comune.
Ribadisce con chiarezza quanto la dottrina sociale della Chiesa ha espresso e richiama alcuni documenti dei suoi predecessori, specialmente di Papa Paolo VI.
Il bisogno di coraggio e di geniale creatività è essenziale per “convertirsi” ad un nuovo stile economicofinanziario che non abbia come idolo il denaro, ma lo sviluppo della dignità della persona e del benessere sociale. Riportiamo alcune domande e risposte dell’intervista che sono molto eloquenti della forza pastorale del Papa e del suo impegno a proporre nuovi sistemi che rafforzano la produttività valorizzando la persona e la collaborazione reciproca. 
Per noi sono motivo di riflessione e di “conversione” per migliorare le prospettive delle nostre attività e collaborare alla costruzione di un mondo più giusto e più umano.

– Santità, un antico proverbio africano sostiene: «Se vuoi andare veloce vai solo, ma se vuoi andare lontano vai insieme».
Tutti noi sappiamo quanto si può correre velocemente, grazie ai nuovi strumenti dell’innovazione tecnologica, nella comunicazione – anche tra le persone – e nell’economia. Ma le crisi profonde che si sono succedute, assieme a una perdurante e dilagante incertezza, sembrano averci tagliato e oscurato gli orizzonti. In Gran Bretagna, addirittura, è nato un ministero che si occupa della “solitudine”.
Farebbe suo quel proverbio?

Questo proverbio esprime una verità; il singolo può essere bravo, ma la crescita è sempre il risultato dell’impegno di ciascuno per il bene della comunità. Infatti le capacità individuali non possono esprimersi al di fuori di un ambiente comunitario favorevole, dal momento che non si può pensare che il risultato raggiunto sia semplicemente la somma delle singole capacità. Dico questo non per mortificare i singoli o per non riconoscere i talenti di ciascuno, ma per aiutarci a non dimenticare che nessuno può vivere isolato o indipendente dagli altri. La vita sociale non è costituita dalla somma delle individualità, ma dalla crescita di un popolo.

– Come si riesce a essere “inclusivi”?

Vedere l’umanità come un’unica famiglia è il primo modo per essere inclusivi. Noi siamo chiamati a vivere insieme e a fare spazio per accogliere la collaborazione di tutti. Se ci guardiamo attorno con il cuore aperto non ci sfuggono le tante, le tantissime e preziose storie di sostegno, vicinanza, attenzione, di gesti di gratuità, toccando con mano che la solidarietà si estende sempre più. Se la comunità in cui viviamo è la nostra famiglia, diventa più semplice evitare la competizione per abbracciare l’aiuto reciproco. Come succede nelle nostre famiglie di appartenenza, dove la crescita vera, quella che non crea esclusi e scarti, è il risultato di relazioni sostenute dalla tenerezza e dalla misericordia, non dalla smania di successo e dalla esclusione strategica di chi ci vive accanto.
La scienza, la tecnica, il progresso tecnologico possono rendere più veloci le azioni, ma il cuore è esclusiva della persona per immettere un supplemento di amore nelle relazioni e nelle istituzioni.

ricchi– Non avere un progetto condiviso sulla riduzione delle diseguaglianze in un sistema sempre più globalizzato può determinare quella che Lei chiama “l’economia dello scarto”, dove le stesse persone diventano “scarti”.
Nell’ultimo documento («Oeconomicae et pecuniariae quaestiones – Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico») la Santa Sede afferma che l’economia «ha bisogno per il suo corretto funzionamento di un’etica amica della persona». 
Ci può spiegare questo punto?

Innanzitutto una precisazione sull’idea degli scarti. Come ho scritto nell’Evangelii gaudium: non si tratta semplicemente del fenomeno conosciuto come azione di sfruttamento e oppressione, ma di un vero e proprio fenomeno nuovo. Con l’azione dell’esclusione colpiamo, nella sua stessa radice, i legami di appartenenza alla società a cui apparteniamo, dal momento che in essa non si viene semplicemente relegati negli scantinati dell’esistenza, nelle periferie, non veniamo privati di ogni potere, bensì siamo sbattuti fuori.
Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto fuori dalla società.
Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti.

– Tra gli “scartati” della Terra ci sono i migranti che si spostano da un continente all’altro in fuga dalle guerre o in cerca di condizioni per vivere o sopravvivere.
Lei, in un periodo storico che vede le frontiere (anche quelle commerciali) chiudersi e prevalere i nazionalismi in un’Europa stanca e divisa, non si sente un po’ come un Mosè contemporaneo che apre il passaggio, apre le porte per tutti i popoli e le persone, a cominciare dai più poveri?
C’è chi pensa che questa 
non sia comunque la missione di successore di Pietro. Perché, invece, ritiene che lo sia?
E di 
cosa ha bisogno questa Europa per ritrovare una rotta comune e insieme per rispondere alle paure dei suoi cittadini?

I migranti rappresentano oggi una grande sfida per tutti. I poveri che si muovono fanno paura specialmente ai popoli che vivono nel benessere. Eppure non esiste futuro pacifico per l’umanità se non nell’accoglienza della diversità, nella solidarietà, nel pensare all’umanità come una sola famiglia. È naturale per un cristiano riconoscere in ogni persona Gesù. 
Cristo stesso ci chiede di accogliere i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati con le braccia ben aperte, magari aderendo all’iniziativa che ho lanciato nel settembre dell’anno scorso: Share the Journey – Condividi il viaggio.
Il viaggio, infatti, si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra, e noi che andiamo verso il loro cuore per capirli, capire la loro cultura, la loro lingua, senza trascurare il contesto attuale. Questo sarebbe un segno chiaro di un mondo e di una Chiesa che cerca di essere aperta, inclusiva e accogliente,  una Chiesa madre che abbraccia tutti nella condivisione del viaggio comune.
Non dimentichiamo, come ho già detto precedentemente, che è la speranza la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti, per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare… La speranza è la spinta per “condividere il viaggio” della vita, non abbiamo paura di condividere il viaggio! Non abbiamo paura di condividere la speranza.
La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno e per questo i poveri sono i primi portatori della speranza e sono i protagonisti della storia.

– Ma come deve muoversi, in concreto, l’Europa?

L’Europa ha bisogno di speranza e di futuro. L’apertura, spinti dal vento della speranza, alle nuove sfide poste dalle migrazioni può aiutare alla costruzione di un mondo in cui non si parla solo di numeri o istituzioni ma di persone.
Tra i migranti, come dice lei, ci sono persone alla ricerca di “condizioni per vivere o sopravvivere”.
Per queste persone che fuggono dalla miseria e dalla fame, molti imprenditori e altrettante istituzioni europee a cui non mancano genialità e coraggio, potranno intraprendere percorsi di investimento, nei loro paesi, in formazione, dalla scuola allo sviluppo di veri e propri sistemi culturali e, soprattutto, in lavoro. Investimento in lavoro che significa accompagnare l’acquisizione di competenze e l’avvio di uno sviluppo che possa diventare bene per i Paesi ancora oggi poveri consegnando a quelle persone la dignità del lavoro e al loro Paese la capacità di tessere legami sociali positivi in grado di costruire società giuste e democratiche.

– In che modo si può realizzare un percorso di integrazione in grado di superare paure e inquietudini, che sono reali?

Non smettiamo di essere testimoni di speranza, allarghiamo i nostri orizzonti senza consumarci nella preoccupazione del presente. Così come è necessario che i migranti siano rispettosi della cultura e delle leggi del Paese che li accoglie per mettere così in campo congiuntamente un percorso di integrazione e per superare tutte le paure e le inquietudini. 
Affido queste responsabilità anche alla prudenza dei governi, affinché trovino modalità condivise per dare accoglienza dignitosa a tanti fratelli e sorelle che invocano aiuto. Si può ricevere un certo numero di persone, senza trascurare la possibilità di integrarle e sistemarle in modo dignitoso. È necessario avere attenzione per i traffici illeciti, consapevoli che l’accoglienza non è facile.
Ricordo qui quanto scrivevo quest’anno nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: quattro pietre miliari per l’azione, che amo esprimere tramite i verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare», e sottolineo che il 2018 condurrà alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati.
Patti che rappresenteranno un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche.
Per questo è importante che i nostri progetti e proposte siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al disinteresse e alla globalizzazione dell’indifferenza. •


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Attualità - Bisogna tener duro

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Tragedia di S. Lorenzo: la vera sfida 

di Eraldo Affinati

SanLorenzo1In una tragedia come quella di Desirée Mariottini, stuprata e uccisa da un gruppo di uomini simili a belve in uno stabile abbandonato di San Lorenzo, nella capitale italiana, sono almeno tre le sconfitte da registrare, ognuna delle quali apre una sanguinosa ferita sociale: la crisi familiare che sta all’origine dell’inquietudine di questa ragazza con un padre di cui non portava il cognome e una madre di soli quindici anni più grande di lei; il fallimento delle agenzie educative che avrebbero dovuto proteggere l’adolescente evitando che da Cisterna di Latina prendesse l’autobus e se ne andasse a Roma di sera a cercare la droga; la disgregazione del tessuto istituzionale del nostro Paese, incapace di governare certi spazi urbani lasciandoli al SanLorenzo2degrado e al disordine, ricettacolo di violenze, brutalità e malaffare.
Ma dietro queste cause immediate, legate a disfunzioni anche amministrative, ce n’è un’altra più profonda che chiama in causa noi stessi: la progressiva scomparsa di adulti credibili coi quali i ragazzi dovrebbero misurarsi; la mancanza di gerarchie di valori in grado di orientare il cammino dei più giovani; la deflagrazione deldesiderio che sembra non avere nessun ostacolo; una malintesa concezione della libertà quale superamento di ogni limite; l’idea errata che la conoscenza del mondo non debba passare attraverso l’elaborazione di un’esperienza autentica della realtà; la fungibilità delle relazioni sociali, troppo spesso legate a criteri di mera convenienza economica; la fine della vera sapienza e il trionfo della semplice (e spesso parziale) informazione; lo sfacelo del linguaggio politico che passa senza soluzione di continuità dalla bieca speculazione elettorale al vaniloquio, gergale privo di riscontri effettivi.
Via dei Lucani, nel palazzo risultato fatale a Desirée, è a pochi passi dall’istituto Pio X dove, durante la Prima guerra mondiale si trovava Ignazio Silone, rimasto orfano dopo il terribile terremoto del 1915.
A quel tempo il grande scrittore abruzzese aveva sedici anni, l’età della povera vittima. Durante l’ora di ricreazione scappò dal collegio religioso, nei cui pressi è adesso attivo un centro di spaccio a cielo aperto, vagando nelle strade attorno alla Stazione Termini senza sapere cosa fare. In quel momento Silone era soltanto un fanciullo abbandonato, senza arte né parte.
Dopo tre giorni venne ripreso dai carabinieri e trasferito in un altro collegio a Sanremo.
Durante il viaggio in treno verso la Liguria, come in seguito rievocò in uno dei brani narrativi più intensi di Uscita di sicurezza (1965), conobbe don Luigi Orione, che aveva visto fra le macerie del terremoto chiedere al Re una macchina per mettere al sicuro i bambini rimasti senza famiglia. Fu un incontro folgorante che gli cambiò la vita.
SanLorenzo3Già diverso tempo fa, perlustrando i luoghi di Ignazio Silone, restai colpito dalla simmetria fra la sua drammatica giovinezza e quella di tanti ragazzi che oggi, sotto gli occhi di tutti, comprano la loro dose di artificiale felicità chimica nei pressi dell’edificio da cui lui fuggì.
Sbaglieremmo se li considerassimo tarati e lontani da noi. Sarebbe un errore grave, simile a quello di chi volesse oscurare o alleggerire le colpe dei carnefici di Desirée, i quali andranno assicurati alla giustizia. Fra i giovani sbandati e i bravi ragazzi, così come fra i mostri e le persone ordinarie, qualrimasiasi sia il colore della loro pelle, la differenza è sempre piuttosto sottile: basterebbe un niente per passare da una schiera all’altra e sprofondare nell’abisso.
SanLorenzo4Anche coloro che sembrano stare al sicuro, con i genitori a posto e le frequentazioni giuste, rischiano tantissimo.
Non dobbiamo perdere la fiducia.
Per fortuna esistono ancora famiglie che tengono duro.
E anche i don Orione continuano a operare e spesso ottengono grandi vittorie senza titoli sui giornali.
Fare l’educatore oggi è più difficile che in passato. Ti sembra di essere da solo a remare controcorrente.
Ma è questa la ragione per cui non devi mollare. •

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La voce del Padre - Contemplazioni d'Autunno

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autunnoMi ero seduto sul muricciolo che mette sul viale per riposarmi un pochino: le foglie delle piante cadevano desolatamente e ad ogni soffio di vento giù un’ondata da coprirmi completamente il vestito. Tutto il lungo viale aveva un aspetto squallido e triste. Eppure, qualche mese fa, seduto sullo stesso muricciolo, ascoltando il canto degli uccelli, contemplavo il grande parco fitto di piante, di erbe, di fiori e là mi riposavo, all’ombra delle piante che mi difendevano, con le loro foglie, dai dardi infocati del sole. Ora non si riconoscono più quei bei viali e quelle aiuole; non ci sono più fiori né canti di uccelli. I rami, ormai spogli ed anneriti, formano strani disegni: sembrano scheletri che si rincorrono per nascondersi là in fondo dietro quella lunga fila di cipressi.
Il tappeto immenso di foglie morte richiama alla mia mente il cimitero, ove i nostri corpi andranno per dissolversi e ritornare alla terra. 
Ma, penso, allora non vi è nessuna differenza fra me e quelle foglie?
Esse marciscono ed anche il mio corpo marcirà. Dov’è dunque la differenza? Oh, sì c’è e molto grande! Le foglie hanno un’anima vegetativa ed io ho un’anima immortale. Le foglie sono state create per la terra, la mia anima per il cielo. Ecco dunque che diverso destino!
Eppure, qualche volta, noi viviamo come le foglie. Un soffio di vento ci scuote, ci inebria, ci stacca dal tralcio vitale... E tu...? Ascolta.
Forse anche tu vivi come se non avessi un’anima immortale, come se la tua anima e la tua purezza fossero un abito che indossi soltanto in determinate circostanze e in date stagioni. No, stai attenta, tu sei stata creata per il cielo, tu non invecchierai e non marcirai come le foglie, tu non finirai. Il tuo corpo un giorno risorgerà bello e luminoso, se bella e luminosa sarà stata la tua vita quaggiù. •
 

In Diretta dal Movimento - Ciò che è successo fino ad ora!

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festacv2018FESTA DELLA COMUNITA' CAPOVERDIANA
La solennità della Madonna del Rosario, al Centro capoverdiano di Via Sicilia in Roma, è una delle feste più sentite e partecipate. In questa ricorrenza il pensiero nostalgico dei nostri immigrati ritorna alla propria Isola dove ogni comunità celebra questa solennità con una ricca Liturgia ed una gioiosa partecipazione di popolo, come le feste “paesane” di tanti anni fa qui in Italia. Ricordi che riempiono il cuore di nostalgia, ma contemporaneamente elevano l’animo e richiamano all’unità di quei valori evangelici che ricevuti si sente il dovere di trasmettere alle generazioni future.
E così anche quest’anno domenica 7 ottobre, in Via Sicilia si è celebrata con grande solennità la festa della Madonna del Rosario.
L’appuntamento era alle ore 16,30 in Chiesa per la recita del santo rosario, seguito dalla Celebrazione Eucaristica, presieduta dal cardinale di Capoverde, Sua Em. Orlindo Furtado e da molti altri sacerdoti, tra i quali anche orionini. Nell’omelia il cardinale ha messo l’accento soprattutto sulla fedeltà e l’integrità della famiglia oggi così frantumata, sull’attenzione e l’educazione dei figli che sono il nostro futuro, sottolineando anche che la fedeltà riguarda ogni singola persona che voglia vivere e trasmettere quei valori cristiani che rendono la società più a misura d’uomo. Ha espresso la gioia di poter celebrare questa Liturgia, tanto cara ai capoverdiani, affidando alla Madonna questa comunità e le necessità di ciascuno. 
Al termine della S. Messa Helena a nome della comunità ha ringraziato il Cardinale per la sua presenza, don Pierpaolo, quale responsabile degli immigrati per la diocesi di Roma, i sacerdoti che hanno presieduto la Liturgia, i rappresentanti dell’ambasciata capoverdiana, Antonella e con lei il Movimento Tra Noi, tutti coloro che hanno partecipato e tutti coloro che hanno contribuito a rendere questa Celebrazione una presenza viva di Chiesa e di unità.
Don Pierpaolo, nel ringraziare ha incoraggiato questa comunità invitandola ad essere una presenza significativa nella città di Roma e una testimonianza gioiosa, come sanno fare i capoverdiani, della fede cristiana alla quale non si deve mai rinunciare.
Nel saluto Antonella ha sottolineato la presenza del Movimento invitando a vivere il carisma dell’accoglienza nel quotidiano e soprattutto in questo anno “la gioia del sentirsi amati”, tema formativo del nostro anno sociale; quindi ha ringraziato la comunità capoverdiana per questa testimonianza di solidarietà e di unità che sempre sa dimostrare. Al termine della S. Messa, la solenne processione con la statua della Madonna tra le Vie adiacenti al Centro, ha concluso questa Celebrazione. Infine nel salone, gustando i buoni prodotti capoverdiani, si è vissuto un momento di gioiosa fraternità. •
D.G.

VACANZE... RELAX... FRATERNITÀ… FORMAZIONE…
Per mixare tutto ciò, membri e simpatizzanti del Tra Noi, ci siamo ritrovati nella “Villa San Biagio” a Fano per una settimana di formazione che, dal 19 al 26 agosto, ci ha fatto riflettere sull’impegno di una vita coerente con la nostra Fede ed il nostro Carisma, scoprendo la bellezza della natura nell’armonia del creato.
Il ritrovarci giornalmente a lodare il Padre ed a celebrare l’Eucaristia, guidati dal nostro assistente spirituale don Attilio Riva, ci ha dato uno stimolo maggiore per sentirci una comunità accogliente dei valori dell’altro, creando relazioni di fiducia e trasmettendo speranza emancipativa. Ciò ha favorito lo scambio di esperienze, accrescendo il nostro coraggio e l’entusiasmo nell’annunciare il Vangelo, come risposta d’amore a Dio, con la testimonianza della nostra vita nell’impegno quotidiano di accogliere il sacrificio di Gesù che muore per la salvezza di tutti noi.
Per sviluppare il tema: “LA GIOIA DI SENTIRSI AMATI” i relatori ci hanno introdotti nel mondo della Gioia, dell’Amore, della Morte e del Tempo.
La visione del film “Collateral Beauty” dove Amore, Tempo e Morte si intrecciano, ci ha presentato un protagonista alla ricerca di se stesso per dare un senso alla propria vita, dopo aver subito una grave perdita. Non ha più alcun interesse per la vita che conduceva finché inizia a comprendere che anche il dolore più grande può rivelare momenti significativi e quindi la necessità di accogliere la bellezza della vita nonostante le tragedie.
Don Pietro Sacchi, con il mito di Orfeo ed Euridice, ci ha presentato la storia di due sposi che cercano di superare il confine tra la vita e la morte. Un inno all’amore che non si arrende mai e non conosce ostacoli, all’amore eterno che dura per sempre, anche dopo la morte, agli inferi dove Orfeo può voltarsi a guardare la sua Euridice senza più perderla.fano2018
La storia che inizialmente sembrava cantare il trionfo dell’amore e della gioia sulla morte, in realtà finisce con il trionfo della morte sull’amore e sulla gioia.
Gioia che nelle “Nozze di Cana” si identifica con la straordinaria abbondanza e pregevole qualità del vino donato dallo sposo; il vino rappresenta l’amore degli sposi ed è un elemento indispensabile nelle nozze perché esprime la vitalità e l’ebbrezza del rapporto. Si è di fronte ad un matrimonio in cui manca il vino, quindi manca la gioia. In questo banchetto nuziale Cristo è lo sposo che offre il Suo vino, simbolo dell’amore sponsale e del dialogo d’amore tra Lui ed il Suo popolo; se nella nostra vita manca il vino, manca la gioia ed andiamo incontro all’amarezza ed all’insoddisfazione. Prendendo lo spunto dai Vangeli di Lc (1,26-38) - Lc (2,1-14) - Mt (25,14- 15.19-21) e Gv (15,9-17) don Attilio ha trattato il tema: “Attraverso il Vangelo, Dio ci chiama ad aprirci alla gioia”.
Entrando da Maria l’angelo Gabriele disse: ”Rallegrati, piena di Grazia: il Signore è con te”. Vuol dire apriti alla gioia come una porta si apre al sole; Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità. Quindi calore, allegria che non devono distrarci dall’essere attenti custodi di questa gioia e come i pastori, nella santa notte, dobbiamo essere disponibili, aperti alla novità e con un cuore pronto a stupirsi per l’opportunità di un incontro. Con la certezza di essere amati dal Signore, che non è un padrone da temere poiché ci considera amici al punto di morire per noi, il timore diventa una forma di gioia che dà un senso alla nostra vita. La gioia è l’autentico stato d’animo del cristiano e poggia sulla consapevolezza di essere amati ancora prima che amare.L’amore vero è un dono libero, un dono di sé all’altro, non conosce l’egoismo e bisogna costruirlo con un cammino che non finisce mai. Con la parola Amore si può intendere un’ampia varietà di sentimenti ed atteggiamenti di cui ha parlato Samuel Intrigilla. 
Emotività, sensibilità,entusiasmo, incertezza, istintività, gioia, tenerezza, coinvolgono la persona in tutte le dimensioni (biologica, psico-affettiva, trascendente). Nella vita di coppia è importante la compartecipazione all’essere dell’altro, ossia la capacità di mettere in comune tutti gli aspetti della vita, mantenendo sempre la propria identità ed accettandosi con pregi e difetti. Gli sposi che celebrano il sacramento del matrimonio promettono di amarsi come Cristo ama la Chiesa, sua sposa.
“Sweet November”, film drammatico - sentimentale ci ha fatto riflettere sull’uso del tempo che abbiamo nella vita.
Per il protagonista il tempo è denaro, per la protagonista il tempo è vita; lei non ha tempo perché ammalata di cancro.
La malattia, in questo caso, induce a scegliere i valori per cui si vuole vivere e lottare fino alla morte.
Secondo il senso profondo della logica cristiana, Antonio Catarinella ci ha ricordato che bisogna distinguere la morte del corpo da quella dello spirito.
Gesù dice “Io sono la Risurrezione e la vita , chi crede in me anche se è morto vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”. Con questa certezza siamo chiamati a prepararci al momento del passaggio alla vita eterna, vivendo il nostro tempo con il ricordo (non il rimpianto) del passato e lo sguardo proteso verso il futuro. 
Ed in che modo viviamo il nostro tempo? Cos’è il tempo? La presidente Stefania Rossi, lo ha presentato secondo la scienza, la filosofia e la religione. Comunque il tempo è uno degli elementi in cui è immerso l’uomo e che lo stesso uomo può gestire; è una dimensione vincolante all’interno della quale possiamo muoverci con relativa libertà. 
Non dobbiamo dimenticare che “il tempo” è un dono d’amore e va vissuto nella gioia. Nell’incontro conclusivo, con una breve ed approfondita sintesi, la presidente onoraria Antonella Simonetta ha coordinato magistralmente le tematiche trattate, evidenziando alcuni aspetti da approfondire nei prossimi incontri di formazione. Nel successivo dibattito si è parlato delle problematiche giovanili ed è emerso che una generazione da sola non va da nessuna parte, per cui bisogna trasmettere alle generazioni future valori trasformabili. È necessario ascoltare e comunicare con tenerezza perché la buona comunicazione facilita le relazioni.
Un pomeriggio di questa bellissima settimana lo abbiamo trascorso con le “Piccole suore missionarie della carità” che esercitano il loro apostolato con ragazze portatrici di disabilità, abbracciando ogni sofferenza e riscoprendo la bellezza e la dignità delle persone o meglio delle “nostre perle” come amava chiamarle Don Orione. Portiamo nel cuore gli abbracci, i sorrisi e le sofferenze di queste “perle”… •
Antonella & Rocco

In preparazione al Sinodo I giovani incontrano il Papa
L’esperienza dei partecipanti.
Un giorno potremo dire ai nostri figli: 
IO C'ERO
È questa la frase che ha concluso ma non chiusa l’esperienza di alcuni ragazzi della nostra Diocesi a Roma. I ragazzi della parrocchia San Mauro di Lavello e della parrocchia Santa Maria delle Grazie di Barile l’11e il 12 agosto 2018 erano lì in mezzo a tantissimi altri giovani per dire a papa Francesco: anche noi siamo qui per “camminare insieme” verso un futuro nuovo e più giovane della nostra Chiesa.
Già qualche giorno prima noi ragazzi siamo arrivati a Roma e siamo stati aiutati a vivere in pieno questo evento dai responsabili del Movimento ‘Tra Noi - Giovani” fondato da Don Sebastiano Plutino. Abbiamo vissuto un bellissimo tempo di preparazione, prima di tutto sulle orme di Maria, pellegrinando tra le chiese a lei dedicate e facendoci comprendere il suo “SI” incondizionato e senza nessun timore a tutto ciò che Dio Padre le chiedeva, quello stesso SI’ a cui tutti noi siamo chiamati a vivere se davvero qualcosa vogliamo cambiare; e poi pellegrinando sulle orme di San Paolo visitando non solo i luoghi a lui dedicati ma facendoci respirare la grande forza di quest’uomo che ha abbandonato le sue pseudo certezze per vivere in pieno la vera fede in Cristo risorto.
Che bello poi l’incontro con don Attilio Riva, che ricordiamo con tanto affetto, il quale ci ha aiutati, attraverso riflessioni domande e discussioni, a comprendere il vero significato del pre-Sinodo. È stato davvero un momento importante perché ognuno di noi ha avuto modo di potersi guardare dentro e capire veramente che cosa eravamo venuti a fare. Abbiamo compreso che anche noi dalle nostre piccole realtà parrocchiali sentivamo il bisogno di gridare a tutti come vogliamo che sia la nostra Chiesa, scoprire e vivere la nostra missione, il nostro ruolo all’interno di essa, capire che non è solo cosa fa la Chiesa per me, ma cosa faccio io per la mia Chiesa.
Sono uscite fuori dalle nostre discussioni i vari malcontenti di come ci sentiamo poco inclusi e poco informati in una Chiesa fatta di persone il cui motto è: “si è sempre fatto così”. Ma noi questo “si è sempre fatto così” lo vogliamo cambiare, noi tutti abbiamo desiderio di costruire una nuova CHIESA senza dimenticare il passato. giovani2018
Finalmente arriva il tanto atteso incontro con il Papa. Che emozione, ci è passato proprio accanto, e qualcuno di noi ha detto: mi ha guardato, mi ha salutato, incredibile come può un adulto già avanti con gli anni dare a noi ragazzi del 2018 (dai 14 ai 17 anni) tanta gioia ed emozione. Poi sono arrivate le sue parole diritte al cuore di ognuno di noi, il silenzio che regnava era incredibile, tutti attenti a ciò che ci stava dicendo, ebbene non ha delusole nostre aspettative, ci ha detto di non avere paura, di rischiare di sognare e andare avanti, di cercare nella nostra vita di fede “maestri buoni” e capaci di poterci aiutare, di rischiare tutto sull’amore quello vero, sincero, coraggioso e senza scappatoie. 
Ci ha detto a chiare lettere che non sempre i nostri “perché” hanno una risposta e in questo tempo di “perché” ce ne sono davvero tanti ma, se abbiamo la forza di guardare a Cristo e a Maria, forse non avremo le risposte a tutti i perchè, ma nel nostro cuore la pace e la forza per andare avanti la troveremo. Ci ha detto di essere pellegrini e questo lo abbiamo sperimentato nei giorni che hanno preceduto l’incontro ma soprattutto la notte dopo l’incontro. 
Infatti ci siamo messi in cammino come cercatori, come bisognosi di ritrovarci in tutto ciò che il Papa poche ore prima ci aveva detto, abbiamo girato le chiese aperte di Roma dove abbiamo visto tanti nostri coetanei che si confessavano e pregavano.
Noi non saremo presenti fisicamente al Sinodo di Ottobre, ma così come ci hanno insegnato tutte le persone che hanno permesso quest’esperienza, i nostri Don, i responsabili del Movimento TraNoi e lo stesso Papa, saremo lì a Roma con la nostra preghiera, e saremo presenti nelle nostre realtà parrocchiali con l’impegno che ci siamo presi, quello cioè di volere cambiare la nostra Chiesa con l’aiuto degli adulti, perché Giovanni è corso sì avanti ed è arrivato per prima nel sepolcro ma si è fermato per far entrare prima Pietro e noi questo non lo dimentichiamo ma lo vogliamo vivere, insieme a tutti, nelle nostre parrocchie. 
Rosa•

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