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Nello Spirito di Don Orione - La carità è come il fiume montano, ha la sorgente in alto

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Andiamo alla sorgente, alla sorgente pura e viva. Amiamo gli uomini in Dio: la vera e sola carità, che è il carisma più perfetto perché è l’unico precetto, poiché tutto s’incerta e sintetizza qui. Onde chi ama il prossimo non solo ha adempito la legge, ma la carità esaurisce la legge con una pienezza, con una perfezione che la vince e la supera: plenitudo legis dilectio.
sanpaLa carità, non dimentichiamolo, è una delle virtù teologali, di quelle virtù cioè che hanno per oggetto Dio. Come, dunque, il Signore ci comanda di estenderla agli uomini, cioè al prossimo? Perché in essi noi riconosciamo supernaturalmente i figli di Dio, ond’è che si potrebbe ben dire trattarsi di un solo comandamento. Amerai il Signore Iddio e il secondo è simile al primo: sono due aspetti di un solo comandamento. Ecco la sapienza della formula in uso nel linguaggio cristiano: amare il prossimo per l’amore di Dio.
Dio si è reso sensibile in mezzo a noi nella divina persona di Gesù Cristo. Egli ha raccolto intorno a Sé, come primogenito e capo, gli uomini tutti. Noi riguardiamo gli uomini come figli di Dio, come fratelli di Cristo, e quindi li amiamo con lo stesso amore che nutriamo per Lui, e nella carità dobbiamo formare con Cristo un corpo solo.
La carità cristiana, amore di Cristo, allargandosi ad abbracciare i prossimi, solleva e trasfonde in Dio pensieri, affetti, opere tramutando ogni nostra attività terrena in un inno di divino amore. Allora la carità diventa vincolo di perfezione tra Dio e l’uomo e tra gli uomini fratelli, quando dentro e fuori siamo rivestiti e ardenti di divino; amore. E la pace di Cristo, che supera ogni senso, viene a risiedere nei nostri cuori.
Questo santo amore che prende nome di carità è il risultato della comunione con Gesù Cristo. È il fervore della grazia onde non può stare e ha bisogno di espandersi: charitas natura diffusiva est. La carità è diffusiva, si fa tutta a tutti, non vede barriere. 
Amiamo Dio e il prossimo in Dio. La carità è la madre di tutte le virtù, anzi è l’esercizio di tutte le virtù. Tutte le virtù finiscono: cesserà la fede, cesserà la speranza, la carità no, la carità dura sempre. È il dolce e prezioso vincolo che unisce il tempo all’eternità; è la perfezione della beatitudine nell’amore che rapisce in Dio.
Oh, quanto è bella e sovrumana la carità, se essa è Dio: Deus charitas est. Dio è carità che sopra gli altri come aquila vola. Siamo amanti dei fratelli, misericordiosi, non rendiamo male per male, ma bene per male e benedizione – qui seminat de benedictione – per male. Di quello che uno avrà seminato, quello mieterà. Non stanchiamoci di fare il bene; facciamo del bene a tutti, massime ai compagni di fede.
Il bene dobbiamo farlo bene, rinnoviamoci nella carità.
Non sono i miracoli che ci rendono cari a Dio, bensì la grazia, la virtù, la carità. La carità comanda di non appartarci in una comoda bastevolezza, ma di sentire e avere compassione fattiva per i dolori e i bisogni degli altri, dai quali non dobbiamo riguardarci separati, mentre sono una sola cosa con noi in Cristo. Mihi vivere Christus est.

Questo ed altri articoli sul numero di Marzo 2019 (presente in archivio)
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Attualità - VITA L'Umana Meraviglia

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"Ogni nascita riempie di stupore perché
è filosoficamente apertura al possibile"

di Elio Franzini
ordinario di EStetica e retture dell'Università Statale di Milano


vita3_1Di fronte alla nascita ci si pone in atteggiamento di gioia. Un medico, un neurologo, uno scienziato senza dubbio ci direbbero che, quando si incontra un bimbo, nelle persone si scatena una reazione fisiologica “positiva”, che induce alla “cura”.
Vi è infatti qualcosa di istintuale nel contemplare lo schiudersi di una nuova vita e, nel guardare un bambino, ogni bambino, sorge il desiderio di assisterlo, curarlo, proteggerlo. E certamente qualcosa di insito nella nostra struttura genetica oltre che nella psiche: ma, al di là di ciò, non si può non osservare che tali reazioni sono come potenziate nell’atteggiamento di attesa insito nella nascita.
L’aspettativa è sempre connessa a un sentimento forte e radicato, generalmente associato a una sensazione di piacere, la cui fonte è la novità, un “novum” che si apre di fronte a noi, il senso di uno sviluppo che spezza la staticità che nel quotidiano sembra a volte attanagliare le nostre vite. Il bambino induce un senso di sviluppo: un essere che prima non c’era, subito si forma, cresce, diviene. Una realtà nuova che è “figlio”, sempre legato a un atto di amore, partecipazione, condivisione.
vita3_2Anche al di là del fatto, la presenza di un bimbo rimanda alla positività dell’unione tra due persone. E l’amore - lo si vede sempre nella storia e ovunque nel mondo - è connesso alla sensazione di piacere: quel piacere che deriva dalla ricerca di una completezza da cui ci sentiamo così spesso lontani. In questo motivo, tra gli altri, si pone la rilevanza estetica della nascita, che sempre tocca e cambia le nostre vite. Il lato estetico peral-tro è anche legato alle fattezze dei neonati. Senza richiamare il filosofo Burke, che nel Settecento associava la bellezza alla piccolezza, il piccolo appare bello anche perché i suoi caratteri fisici hanno una particolare indeterminatezza: l’assenza di una forma compiuta non è vissuta infatti come incompletezza, bensì come archetipo del possibile, immagine in divenire di una tenerezza nuova - quella stessa che nell’arte appare sempre nelle Maternità - che genera quell’insieme di sentimenti che parlano di bellezza, di pace, di calma, di gratitudine, di speranza.
In questo senso la nascita è un’opera d’arte, quasi in senso aristotelico: quel che reca in sé un senso di potenzialità, cioè di possibilità di divenire, è più ricco di bellezza rispetto a ciò che è già definito, a un fatto chiuso e determinato. La necessità della vita apre qui un indefinito che è senso del possibile, un senso che si apre al mondo, che si schiude verso l’altro. La natività è forse la più filosofica delle categorie, perché non ci pone innanzi a un dato immutabile, ma di fronte a una realtà indubitabile e carnale, che è però al tempo stesso un’apertura.
È il mistero della vita. È la realtà nuova: non qualcosa di chiuso, definito e pertanto accantonabile, bensì, come la poesia - ed è il tema fondamentale - un’apertura al possibile. E, così come la poesia è espressione del “poiein”, del “fare”, allo stesso modo il bambino costituisce una possibilità che si apre, una continua scoperta.
E, attraverso un bimbo, ciascuno di noi ha la possibilità di riscoprire il mondo.
vita3_3E se la nascita di una nuova vita è novità, la novità provoca stupore, e lo stupore è il momento germinale della civiltà ma anche della filosofia. Lo sostiene Aristotele: il filosofare nasce dallo stupore, dal senso di meraviglia che si prova di fronte al mondo, perché deriva dal desiderio di dare una veste razionale all’emozione. Così comincia il pensiero: nasce dalla meraviglia.
Se non ci si meravigliasse più non vi sarebbe più la dimensione di carattere filosofico, né teorico. Ecco dunque che ogni nuova nascita, dal punto di vista laico, si presenta come una sorta di miracolo.
E questo è il miracolo: che una creatura intelligente possa in così breve lasso di tempo crescere, svilupparsi, acquisire conoscenze. Ci si stupisce sempre, di fronte a ogni bimbo. È un miracolo sempre nuovo: qualcosa che prima non c’era, e poi c’è. La scienza ha già spiegato tanti misteri associati al sorgere della vita e al suo sviluppo. Ma per quanto possa addentrarsi in queste spiegazioni, non toglierà mai lo stupore. Perché il nostro rapporto con l’universo del vivente precede l’universo delle spiegazioni. E questa precedenza deve rimanere sempre viva. La ragione può essere forte se, e solo se, non elimina i nostri sentimenti, il nostro sentire.
Non può mai cancellare la capacità di vivere la meraviglia che il mondo genera. •


 

Chiesa - Vivere nel deserto del mondo per trasformarlo in giardino

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0304191Mi sembra di sintetizzare in questo modo il cammino quaresimale che il papa ci propone nel suo messaggio.
Come al solito papa Francesco non si lascia imbottigliare dalle situazioni reali, da un mondo chiuso, dagli orizzonti opachi ed oscuri del male e del peccato, ma alza lo sguardo e contempla i cieli nuovi e la terra nuova che la Pasqua preannuncia.
E’ un cammino che va costruito attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina, le tre vie che sono maestre per seguire l’arcobaleno dei tempi nuovi.
Un digiuno che non è tanto nel negativo del privarci di, ma piuttosto nel positivo di occuparci per, ossia condividere, perdere qualcosa di mio per amore tuo.
Non ci eserciteremo in questa dinamica se non saremo capaci di guardare il Crocifisso e contemplandolo accogliere i suoi suggerimenti, il suo spasimo di anime che ha tanto infuocato don Orione. Allora la preghiera si fa universale e si sente la creazione che palpita per una nuova generazione.
Il nostro cammino infatti ci impegna anche sul piano del creato del quale siamo responsabili, come della vita di ciascun uomo. Ed allora l’elemosina non si può limitare a un dare il superfluo senza guardare negli occhi ed osservare quanto ci circonda.
0304192Le strade ingombre di rifiuti, la non obbedienza alla differenziata, la mancanza della custodia del creato nelle piccole cose di ogni giorno.
Percepiamo la fatica di vivere in un deserto di relazioni umane, di frutti saporiti, di alberi e foreste che rigenerano il respiro. L’aria inquinata ci opprime e non ci sollecita a spalancare le finestre della nostra esistenza per proporre nuove forme di vita che portano gioia e serenità.
Sembra essere questo l’impegno al quale il papa ci invita attraverso la forza risanatrice del pentimento e del perdono: ripercorrere il cammino di Gesù per portare la speranza di Cristo anche nella creazione.
Non lasciamo trascorrere invano questo tempo favorevole! Chiediamo a Dio di aiutarci a mettere in atto un cammino di vera conversione…attireremo anche sul creato la sua forza trasformatrice”. •

Antonella

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La Voce del Padre - Una sola famiglia universale

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vocepadre1L’uomo non è un essere isolato; tutti siamo in comunione gli uni con gli altri e sentiamo il bisogno di incontri, di camminare insieme, di essere solidali perché abbiamo in comune la natura umana. Questo nostro camminare insieme ci aiuta ad usare meglio del progresso e del benessere e ad utilizzare in modo più appropriato le tantissime risorse che sono insite nella nostra natura umana.
Non vi sono età: il bambino e l’adulto, il sano e l’ammalato, il vecchio e il giovane hanno delle risorse umane tanto e tanto superiori a quelle che comunemente si utilizzano o coltivano.
Ognuno deve sentirsi un costruttore del suo presente e dell’avvenire utilizzando le proprie risorse in comunione con gli altri per arrivare alla sorgente della vita che non è solo umana.
L’uomo non è solo materia, non è solo un essere animale, ma è dotato di facoltà spirituali che lo rendono trascendente e quindi capace di operare e agire in situazioni dove gli altri esseri naturali non possono agire.
Perciò l’uomo non può essere un solitario ma sociale in quanto l’origine è comune ad ogni uomo anche se le lingue e le razze ci vengono presentate dalla storia in un modo diverso.
Tutti siamo persone con la nostra dignità umana e, se battezzati, cristiana. Quindi il rispetto per la persona chiunque essa sia e la solidarietà gli uni verso gli altri non solo entrano nella cultura e nelle tradizioni ma è connaturale alla nostra esistenza.
Credenti e non credenti sono spesso concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e suo vertice.
vocepadre2Ma che cos’è l’uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul suo conto, opinioni varie ed anche contrarie, perché spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla depressione, finendo in tal modo nel buio e nell’angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall’insegnamento della Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell’uomo, dà una ragione alle sue miserie ed insieme aiuta a riconoscere giustamente la sua dignità e vocazione.
La Sacra Scrittura infatti, insegna che l’uomo è stato creato “ad immagine di Dio”, capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e che fu costituito da Lui sopra tutte le creature terrene quale Signore di esse per governarle e servirsene a gloria di Dio. “Che cosa è l’uomo, che tu ti ricordi di lui? 0 il figlio dell’uomo che tu ti prenda cura di lui?, l’hai fatto di poco inferiore agli angeli, l’hai coronato di gloria e di onore, e l’hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Ps 8).
L’uomo sintetizza in sé, per la sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore: allora, non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno. E, tuttavia l’uomo ferito dal peccato sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell’uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo, e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore.
vocepadre3L’uomo però non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Intatti nella sua interiorità egli trascende l’universo: in quelle profondità egli torna, quando si rivolge al cuore, là dove lo aspetta Dio che scruta i cuori, là sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino.
Perciò, riconoscendo di avere un’anima spirituale, non si lascia illudere da fallaci finzioni che fluiscono unicamente dalle condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose.
E in questo clima di spiritualità e trascendenza Iddio, che ha cura di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli. Tutti infatti, creati ad immagine di Dio “che da un solo uomo ha prodotto l’intero genere umano affinché popolasse tutta la terra” (Act.), sono chiamati allo stesso fine, cioè Dio.
Data la nostra origine comune il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con questa maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di sentire, e tanto più facilmente potremo con loro stabilire un colloquio.
Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene.
Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Gesù ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false e meno accurate nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori, perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque.
La dottrina di Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie, ed estende a tutti i nemici il precetto dell’amore, che è il comandamento della Nuova Legge: “Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico amate i vostri nemici e fate dei bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori" (Mt. 5, 43-45). •


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