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L'angolo dell'arte - Il rivestimento marmoreo della santa casa di Loreto

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RELIQUIA E ICONA
L’ornamento marmoreo che riveste la Santa Casa di Loreto racchiude uno dei luoghi più venerati del mondo cattolico.
Tra i capolavori presenti nel santuario loretano esso è considerato il più importante per grandiosità di disegno - 610 metri di sculture - e la qualità artistica.
Santuario_LoretoIl suo completamento richiese 70 anni e il lavoro di vari artisti per lo più toscani e lombardi.
La basilica, la cui costruzione iniziò nel 1468, era agli inizi del 1500 in gran parte completata, ma nel 1507, Papa Giulio II (noto come il papa guerriero e il papa delle arti: Raffaello il suo pittore, Bramante l’architetto a cui affidò il progetto di ricostruzione della Basilica Vaticana, Michelangelo lo scultore ...) inviò a Loreto proprio il suo Primo Architetto Donato Bramante che era anche pittore, musicista, poeta, tra i maggiori artisti del Rinascimento e la personalità più rilevante nel passaggio tra il 15° e il 16° secolo.
Bramante progettò la piazza antistante la Basilica e il Palazzo Apostolico e gli fu affidato l’arduo compito di rappresentare, tramite la scultura, il mistero dell’incarnazione di Gesù; egli, quindi, progettò la splendida opera che protegge l’edificio della Santa Casa, capace di ammaestrare e nel contempo meravigliare i fedeli. L’involucro architettonico è costituito da un basamento con ornamenti geometrici da cui si diparte un ordine di colonne striate a due sezioni con capitelli corinzi sostenenti un cornicione aggettante, è arricchito dal ciclo delle storie aventi come protagonista o testimone la Madonna: la Natività della Vergine, lo sposalizio con S. Giuseppe, l’Annunciazione, la Visitazione a S. Elisabetta, la Natività di Gesù, l’Adorazione dei pastori e dei magi, la Dormizione di Maria e la rappresentazione della traslazione della Santa Casa da Nazareth a Loreto, così come narrata dalla tradizione popolare, per ministero angelico.
LoretoSecondo un’iconografia già affermata, il progetto prevedeva che, tra una storia e l’altra, dentro delle nicchie dovevano essere poste, nella parte superiore, statue di sibille e nella parte inferiore statue di profeti.
Le sibille, leggendarie profetesse del mondo greco e romano portano il nome dei diversi luoghi del bacino mediterraneo in cui furono collocate.
Esse simboleggiano l’attesa e il preannuncio di Cristo presso i pagani.
Lattanzio, scrittore e apologeta cristiano nel suo “Divinae Istitutiones“ indicò le 10 sibille più antiche; la loro rappresentazione nell’arte sacra iniziò nel tardo medioevo, la più antica è la sibilla Persica dipinta nell’XI° sec. nella chiesa di S. Angelo in Formis (vicino Caserta).
Frequenti furono le rappresentazioni delle sibille nel Rinascimento: splendide sono le cinque dipinte da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina.
La presenza dei profeti vuole rappresentare la rispondenza del nuovo con il vecchio testamento.
Fu scelto il marmo per la realizzazione dell’opera sia perché corrispondente alla cultura classica rinascimentale sia perché di lunga durata. La forma artistica prescelta: per le storie il bassorilievo (rilievo leggermente aggettante su una superficie piatta che funge da sfondo), la scultura per le statue dei profeti e delle sibille.
Tutto fu progettato dal Bramante che però nel 1509 andò via e la direzione dei lavori passò prima a Cristoforo Romano per due anni, quindi Papa Leone X° affidò l’incarico al sommo architetto veneziano Jacopo Sansovino: egli ordinò i marmi a Carrara e nel novembre 1514 ne arrivarono a Loreto 48 tonnellate.Facciata_Loreto
Sansovino, artista finissimo, con il suo stile morbido ed etereo che sembra mutuato dallo sfumato leonardesco, realizzò molti dei bassorilievi. Suo capolavoro assoluto è “l’Annunciazione” che il Vasari, grande storico dell’arte, definì “Scultura Divina“, possiamo ammirarla nella facciata occidentale e funge da pala all’altare maggiore della Basilica. Nell’annus horribilis del sacco di Roma (1527) il grande architetto si ritirò.
Nel 1531 iniziò una nuova fase dei lavori: direttore Antonio da Sangallo il Giovane che aggiunse la Balaustra sovrastante la Santa Casa. L’opera fu completata da Rinieri Nerucci, allievo del Sansovino, nel 1538.
Successivamente, tra gli anni 1540-1572, Giovanni Battista e Tommaso Della Porta eseguirono le statue delle sibille e i fratelli Lombardo i profeti.
Le sibille Libica e Persica severe e pensose, l’Eritrea, la Cumana e la Delfica con torvo cipiglio, nel regime inferiore i profeti Mosè, Zacaria, Malachia, Davide ai cui piedi giace una splendida testa di Golia, le sibille Ellespontica e Frigia, Samia e Tiburtina e i profeti Isaia, Daniele, Michea e Abdia.Ara_pacis
A quel punto l’ornamento marmoreo della Santa Casa appariva nel suo pieno splendore, considerato la massima impresa plastica del pieno Rinascimento, e uno straordinario esempio di lavoro di gruppo dove è possibile cogliere il senso dell’emulazione tipica degli artisti dell’Umanesimo – Rinascimento.
È stato indicato come somigliante a uno dei più bei monumenti di Roma: l’Ara Pacis (altare dedicato da Ottaviano Cesare Augusto nell’anno 9 D.C. alla Pace nella sua accezione di divinità). Comunque inteso come un grandioso e prezioso reliquiario. •

Giulia Romano Putortì

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In Diretta dal Movimento - Salus Populi Romani, SEMPRE!

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Copertina_SettembreCome tutti gli anni il Movimento Tra Noi si incontra per festeggiare la Salus Popoli Romani. Si incontra ad Agosto, e quest’anno precisamente il 5!
Un momento importante soprattutto per ritrovarsi e per riunirsi sotto lo stesso vessillo: la nostra amatissima Patrona del Movimento Tra Noi. 
La giornata è organizzata come sempre: la messa, che quest’anno è stata presieduta e celebrata da Monsignor Paolo Selvadagi (vicario del nostro settore) che ci ha fatto sentire ancora di più la vicinanza del Movimento al Vicariato Romano.
La messa è stata un importante momento sia di preghiera che di felicità, sentita e cantata da tutti. A seguire, la breve processione aux flambeaux e poi tutti quanti ci siamo ritrovati in una agape fraterna organizzata dall’ Hotel Casa Tra Noi con ricchi e gustosi piatti accompagnati da musica live di sottofondo tra il romanesco e il leggero grazie all’esibizione dei VData, per poi divertirsi ballando con Tiziano ed Eleonora.
Come ogni anno la serata è andata bene, ci siamo ritrovati, ci siamo incontrati e, perché no, abbiamo fatto anche nuove conoscenze!
Il miglior augurio che si possa fare è quello di continuare sempre così per i prossimi anni ed anche migliorare sempre di più con i festeggiamenti che la Salus Populi Romani merita! Ave Maria e Avanti! •
Tiziano Gioggi


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Gocce di Spiritualità - La Vista. Il Senso Proibito

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In principio era l’olfatto: l’uomo, ancora quadrupede, seguiva gli odori e annusava le strade da percorrere. Poi l’uomo si mise in piedi e affinò il senso della vista: a occhio nudo, oggi gli riesce di vedere seimila stelle. C’è un terzo delle vie nervose del corpo umano che sono destinate all’occhio: il fascino dei colori, l’ebbrezza della luce e l’ansia dell’oscurità, la sinuosità dei lineamenti e le vertigini della profondità, il tumulto delle vette e il frangersi delle onde marine. Attraverso gli occhi passano le informazioni: s’impara a conoscere il mondo e s’apprende l’arte tutta evangelica di come muoversi nel mondo. La vista è il senso dei sensi: è il racconto della nostra storia. Attraverso la vista passa tutto, passa tantissimo: è il balcone di casa.
Affacciarsi è decidere come usarla: per fissare un puntino giallo e dire: “E il sole”, oppure per fissare il sole e dire: “E solo un puntino giallo”. La vita sembra essere questione di occhi. Vedere non è guardare: come il sentire non varrà nulla al cospetto dell’ascoltare. Lo attestano anche i proverbi che gli occhi non mentono: dicono quello che noi siamo veramente. Ci dicono quando siamo presenti a noi stessi, ma anche quando siamo assenti a noi stessi: vediamo ma non guardiamo. Ci confinano alla verità degli incontri: quando parlo a qualcuno, m’accorgo se lui sta mirando gli occhi altrove. E viceversa. La vista è attenzione: chiederla è sentire il bisogno che ci sia uno sguardo presente. Emmaus_cena
Attento e non distratto: «Non importa tanto quello che vediamo, importa piuttosto il modo con cui vediamo» (L. Seneca). Ci sono occhi biologicamente perfetti, eppure incapaci di fronteggiare le incursioni della bellezza: «Guarda, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19). L’accorgersi. Che è poi l’accogliersi nel proprio sguardo. Presenti a se stessi.
Nell’epoca delle webcam e degli sguardi filtrati dall’utilizzo dei video - dove vedere non è sempre guardare - ascoltarsi con gli occhi sembra un’insopportabile sgrammaticatura linguistica: con gli occhi si guarda, con le orecchie si ascolta. Com’è, dunque, possibile abbinare l’ascolto anche all’occhio senza passare per ridicoli? Sarà possibile solo nella più logica delle assurdità evangeliche, laddove l’impossibile degli uomini è il possibile di Dio. Ascoltarsi con gli occhi è, dunque, l’ascolto sommo, quello che i vangeli intonano al passare di Cristo. Quando si ha a che fare con l’Altissimo, ci sono sempre delle prospettive da ribaltare. Certune profondità non si possono solo vedere, ma vanno guardate. Scrutate, esaminate, esplorate. Contemplate: il verbo che trattiene in unità il vedere e l’ascoltare. Le prospettive di Dio: «Guarda: io faccio nuove tutte le cose» (Ap 4,32). Vedere è sapere quanti sono i colori, guardare è inventarsi pittori. Guardare e vedere sarà impratichirsi nel maneggiare l’umano alla scuola del Maestro.

Il Vangelo: una danza di sguardi
Vedere Dio con i propri occhi è un desiderio che alberga nel cuore della storia sin dai tempi del pastore Mosè. Un giorno non seppe trattenersi e diede voce a quel desiderio: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!». Ottenne un secco diniego, pur con una motivazione in calce: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere» (Es 33,18-20). Seppur di provenienza divina, quel no non impedì all’uomo di coltivare a oltranza una mal e mai celata nostalgia del suo sguardo: «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore» (Sal 25,15). Ciò che Mosè non poté, apparve di sorpresa a dei suoi discendenti per mestiere, anch’essi pastori: «Andiamo [...] vediamo questo avvenimento» (Lc 2,15).

Videro e si stupirono. Credettero.
Quando l’occhio tradisce insofferenza, l’appuntamento è con l’oculista. Le cause possono essere le più banali come le più gravi: miopia, cataratta, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia, degenerazione maculare. Ci sono interventi indolori che si eseguono con poche gocce d’anestetico; interventi chirurgici, invece, in anestesia topica che chiedono prima gli esami del sangue, l’elettrocardiogramma e la visita cardiologica.
È la legge della medicina. Appena cresciuto, anche Cristo prenderà la parola in merito. Chissà quale panorama - tracce di uomini o anfratti di ricordi poco cambia - custodiva nella memoria quando espose il suo trattato circa la cura per gli occhi, per lo sguardo: «La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso». Con quell’aggiunta finale per evitare fraintendimenti di sorta: «Ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso» (Mt 6,22-23). Che era il modo più gentile per lanciare l’invito a educare lo sguardo: a spolverare quella lampada che, pulita, permette al corpo intero d’illuminarsi e d’illuminare ciò che gli è attorno.
Il Vangelo è la celebrazione della vista: dopo aver veduto Dio, poggiare gli occhi sull’umano sarà una festa. Si mostrerà come una danza di sguardi.
Sguardi di compiacimento e di bellezza come quelli che hanno per protagonisti i gigli del campo, gli uccelli del cielo e la nobiltà dei due spiccioli della donna vedova. Sguardi di benedizione e di misericordia a favore degli scarti dell’umano, dei personaggi guastati dalle diavolerie del maligno, degli sperduti tra i rovi o tra le rovine della storia. Sguardi - che sono, poi, occhi che guardano - che quando si toccano diventano incroci: nuove prospettive, storie riaccreditate, narrazioni corrette. Sono gli sguardi di Dio. Che sono, poi, l’eterna risposta agli sguardi dell’uomo: di Pietro che «lo seguiva da lontano» (Lc 22,54) e che, guardato dall’amico, rimase imbarazzato al canto del gallo. Di Giuda, il cui sguardo deluso gli impose d’imboccare una strada a senso unico: non vide più alcun senso in quella storia che proprio allora, invece, acquistava senso. Stava per stordire i sensi. Di quel giovane che, pur ricco, non seppe arricchirsi.
pastoreaI Vangeli sono un dipinto della vista. In essa celano la scelta di chi va incontrando Dio: stare alla sua presenza o nascondersi alla sua presenza. Lasciarsi guardare per imparare a guardare: «La condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto» (Papa Francesco). Imparare a guardare per imparare a riconoscerlo quando viaggerà in borghese: «Quando mai ti abbiamo visto [...] e ti abbiamo/ non ti abbiamo [...]» (Mt 25,37). E strappare l’inaspettato dei Vangeli: chi dimora nello sguardo di Dio non avrà parole migliori per raccontare di Lui, ma terrà un’impareggiabile dolcezza nel narrare delle cose di quaggiù. Un giorno tutti vedranno una macchia nera su un panno bianco. Può capitare che qualcuno s’accorga di un panno bianco nel quale c’è una macchia nera.

Sguardi sconsolati. Sguardi consolati
A Emmaus c’era solo una macchia nera. Gli occhi erano disperati - «Apri i miei occhi, e contemplerò le meraviglie della tua legge» (Sal 119,18) - eppure biologicamente sani. La diagnosi fu pari a un gioco di bambini per l’uomo che, in vita, dai ciechi tirò fuori alcuni dei suoi profeti più fidati e affidabili: conversando tra loro lungo il cammino, mostrarono d’essersi arresi e arrestati a ricordi di morte e di trambusto della loro storia con Lui. La terapia fu altrettanto immediata: il pane spezzato divenne il collirio che ravvivò le pupille e «si aprirono i loro occhi» (Lc 24,31). A quel punto lui scomparve: altri occhi lo aspettavano.
Essi, però, non caddero più nell’angustia: ormai abitavano lo sguardo di Dio. A fidarsi dei Vangeli, sembra proprio che il luogo in cui si decide di posare lo sguardo faccia da discriminante tra la bellezza e la bruttezza. Tra lui e l’altro. Tra la disperazione e la speranza.
Dentro quella locanda il senso della vista permise loro di ritrovare il senso della loro storia. Alla vista di quel pane, imboccarono il senso inverso al loro cammino e fecero di nuovo ritorno a Gerusalemme.
Chissà se le loro parole riuscirono ad esprimere l’imponderabile, l’inafferrabile, l’imprevisto di quell’incontro: chi vede non sempre riuscirà a tradurre in parole l’esagerazione della visione occorsagli. Basterà lo sguardo, quel piglio intontito di chi ha avuto l’onere e l’onore di sequestrare l’assoluto per fare da garante a un Dio che - ascoltando il grido dei disperati e di chi è in astinenza da visione - decise di farsi carne. Di dare loro appuntamento in uno sguardo franco e senza convenevoli. Nell’inospitale ospitalità di una grotta. 
Di una locanda che quella sera divenne l’ambulatorio per quei due viandanti dagli occhi stanchi.
Da quella locanda usciranno uomini risanati, diversi: più passerà il tempo e più la vista riacquisterà in loro vigore. Solitamente più s’invecchia e più si perde la vista; nei Vangeli più s’invecchia in compagnia di Dio, più s’impara a vederci meglio. A vedersi meglio.
A vedersi - che è poi prima ancora un sentirsi - in compagnia di Dio. Non più soli quaggiù. •

Don Marco Pozza


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Nello spirito di don Orione - La Divina Provvidenza spiega tutto

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Volta_Div_ProvvLa Divina Provvidenza pare nascosta all’uomo perché l’uomo la vede e molte volte non l’ama, la tocca e molte volte non la crede; essa lo veste meglio che i gigli del campo e gli dà da mangiare, ed egli crede di essere nudo e digiuno. Essa governa il mondo con legge armonica ed eterna, si nasconde e non si fa vedere a colui cui manca la fede, quantunque egli sia ricco di mezzi materiali e di vasta mente e di molta cultura. Imperocché i potenti e i ricchi e i veri sapienti sulla terra sono quelli che amano Dio, credono in Dio, sperano in Dio e nelle opere delle sue mani lo vedono e lo toccano e lo sentono fìnanco in se stessi che dice: - state quieti, sono con voi: Nolite timere, ego sum! -. Essi vivono nella Provvidenza, muoiono nella Provvidenza. Sono semplici, e la vita loro è stimata pazzia dal mondo, ma essi sono i sapienti del Signore!

Per le vie di Dio non è necessario tanto sapere, ma sapere Gesù Cristo Crocifisso, e amarlo nelle anime e nella sua Chiesa che ora sta su Pio, e servirlo con umiltà grande e grande occhio di fede nella Divina Provvidenza. Volete voi vedere le cose che non vedete? Credete ciecamente a quello che propone la Chiesa cattolica nostra Madre.

Quanto più le crederete e avrete fede veramente e più vi eleverete sopra gli uomini, e vedrete altrimenti le cose, e sentirete dentro di voi il gaudio dei figli di Dio, perché la luce della Divina Provvidenza è verità e amore e gaudio, e sarà dentro e sarà sopra di voi.

La Divina Provvidenza spiega tutto, essa è il dito di Dio nell’universo e il balsamo della vita. O Divina Provvidenza! Ti adoro, e mi perdo infinitamente in Te!

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